Rèi vindicàtio
Rèi vindicàtio [Azione di rivendica; cfr. art. 948 c.c.]
Azione a tutela della proprietà, esperibile dal proprietario contro chi possedesse illegittimamente la cosa, al fine di ottenerne la restituzione.
Il relativo processo fu soggetto a varie trasformazioni nel corso delle diverse epoche storiche:
— nel diritto arcaico, esso si svolgeva nella forma della lègis àctio sacramènti in rem [vedi]. In essa non si distinguevano attore e convenuto: entrambi i soggetti affermavano la proprietà della cosa, pronunciando la formula solenne e promettendo di versare alla cassa pubblica una somma di danaro (sacramentum) in caso di soccombenza. Il giudice decideva quale fosse il sacramentum iustum, risolvendo implicitamente, in tal modo, il giudizio sulla proprietà;
— nella età classica, il processo aveva luogo con la procedura della legis actio per iudicis postulationem, ove chi affermava di essere proprietario faceva promettere a chi possedeva la cosa il pagamento di una somma in danaro (sponsio præiudicialis) [vedi sponsio] qualora fosse risultato soccombente nel successivo giudizio.
Il dominus in seguito citava in ius la controparte, esercitando la legis actio per iudicis postulationem;
— nel sistema formulare, ebbe maggior diffusione il procedimento della formula petitòria: senza che vi fosse bisogno di una preventiva sponsio del convenuto, l’attore agiva in giudizio affermando di essere proprietario della cosa, chiedendone la restituzione.
Il procedimento si semplificava: convenuto era il possessore, attore chi non possedeva ed affermava di essere proprietario.
Instaurata la lite, se il convenuto non restituiva spontaneamente la res litigiosa (cosa oggetto della lite), il giudice procedeva alla lìtis æstimàtio [vedi].
Il convenuto soccombente doveva restituire la cosa cum sua causa, ossia: se possessore di buona fede, doveva restituire i frutti percepiti dopo la litis contestàtio [vedi], mentre, se di mala fede, doveva restituire anche quelli percepiti ante litem contestàtam, ossia sin dalla immissione nel possesso.
Azione a tutela della proprietà, esperibile dal proprietario contro chi possedesse illegittimamente la cosa, al fine di ottenerne la restituzione.
Il relativo processo fu soggetto a varie trasformazioni nel corso delle diverse epoche storiche:
— nel diritto arcaico, esso si svolgeva nella forma della lègis àctio sacramènti in rem [vedi]. In essa non si distinguevano attore e convenuto: entrambi i soggetti affermavano la proprietà della cosa, pronunciando la formula solenne e promettendo di versare alla cassa pubblica una somma di danaro (sacramentum) in caso di soccombenza. Il giudice decideva quale fosse il sacramentum iustum, risolvendo implicitamente, in tal modo, il giudizio sulla proprietà;
— nella età classica, il processo aveva luogo con la procedura della legis actio per iudicis postulationem, ove chi affermava di essere proprietario faceva promettere a chi possedeva la cosa il pagamento di una somma in danaro (sponsio præiudicialis) [vedi sponsio] qualora fosse risultato soccombente nel successivo giudizio.
Il dominus in seguito citava in ius la controparte, esercitando la legis actio per iudicis postulationem;
— nel sistema formulare, ebbe maggior diffusione il procedimento della formula petitòria: senza che vi fosse bisogno di una preventiva sponsio del convenuto, l’attore agiva in giudizio affermando di essere proprietario della cosa, chiedendone la restituzione.
Il procedimento si semplificava: convenuto era il possessore, attore chi non possedeva ed affermava di essere proprietario.
Instaurata la lite, se il convenuto non restituiva spontaneamente la res litigiosa (cosa oggetto della lite), il giudice procedeva alla lìtis æstimàtio [vedi].
Il convenuto soccombente doveva restituire la cosa cum sua causa, ossia: se possessore di buona fede, doveva restituire i frutti percepiti dopo la litis contestàtio [vedi], mentre, se di mala fede, doveva restituire anche quelli percepiti ante litem contestàtam, ossia sin dalla immissione nel possesso.