Quasi ususfrùctus
Quasi ususfrùctus [Quasi usufrutto; cfr. art. 995 c.c.]
Istituto così denominato in diritto giustinianeo, ma risalente all’età classica: si trattava di un diritto di usufrutto avente ad oggetto cose consumabili.
Oggetto dell’ususfructus [vedi] potevano essere, tradizionalmente, soltanto cose inconsumabili, quelle, cioè, suscettibili di uso ripetuto e quindi restituibili al nudo proprietario.
Sin dagli albori dell’epoca classica si diffuse, tuttavia, l’abitudine di attribuire per testamento l’usufrutto di tutto il patrimonio ereditario (o di una sua parte), senza operare alcuna distinzione tra cose consumabili e cose inconsumabili. Un senatusconsùltum dell’imperatore Tiberio stabilì che tale disposizione testamentaria dovesse essere considerata valida, ammettendo che in relazione alle cose consumabili si applicasse un regime giuridico tale da consentire la produzione di effetti affini a quelli tipici dell’usufrutto.
In particolare, si impose al beneficiario il versamento di una càutio [vedi], che garantiva all’erede la restituzione del tantùndem eiùsdem gèneris cioè di cose dello stesso genere e qualità di quelle ricevute, che, essendo consumabili, non potevano essere usate e restituite. Le res consumabili passavano immediatamente in proprietà del quasi-usufruttuario; la cautio garantiva, nel caso di mancata restituzione del tantundem eiusdem generis, il pagamento del controvalore in denaro della res.
In diritto giustinianeo, l’istituto fu denominato (—).
Sostanzialmente la posizione del quasi usufruttuario (che acquistava, in realtà, la proprietà delle cose ricevute) era quella di un mutuatario: sia se agiva in base alla cautio oppure per la restituzione, l’azione del nudo proprietario era non in rem [vedi àctio in rem], ma in personam [vedi actio in personam]. In particolare si poteva agire anche con l’actio certæ creditæ pecuniæ [vedi] o con la condìctio certæ rèi [vedi].
Istituto così denominato in diritto giustinianeo, ma risalente all’età classica: si trattava di un diritto di usufrutto avente ad oggetto cose consumabili.
Oggetto dell’ususfructus [vedi] potevano essere, tradizionalmente, soltanto cose inconsumabili, quelle, cioè, suscettibili di uso ripetuto e quindi restituibili al nudo proprietario.
Sin dagli albori dell’epoca classica si diffuse, tuttavia, l’abitudine di attribuire per testamento l’usufrutto di tutto il patrimonio ereditario (o di una sua parte), senza operare alcuna distinzione tra cose consumabili e cose inconsumabili. Un senatusconsùltum dell’imperatore Tiberio stabilì che tale disposizione testamentaria dovesse essere considerata valida, ammettendo che in relazione alle cose consumabili si applicasse un regime giuridico tale da consentire la produzione di effetti affini a quelli tipici dell’usufrutto.
In particolare, si impose al beneficiario il versamento di una càutio [vedi], che garantiva all’erede la restituzione del tantùndem eiùsdem gèneris cioè di cose dello stesso genere e qualità di quelle ricevute, che, essendo consumabili, non potevano essere usate e restituite. Le res consumabili passavano immediatamente in proprietà del quasi-usufruttuario; la cautio garantiva, nel caso di mancata restituzione del tantundem eiusdem generis, il pagamento del controvalore in denaro della res.
In diritto giustinianeo, l’istituto fu denominato (—).
Sostanzialmente la posizione del quasi usufruttuario (che acquistava, in realtà, la proprietà delle cose ricevute) era quella di un mutuatario: sia se agiva in base alla cautio oppure per la restituzione, l’azione del nudo proprietario era non in rem [vedi àctio in rem], ma in personam [vedi actio in personam]. In particolare si poteva agire anche con l’actio certæ creditæ pecuniæ [vedi] o con la condìctio certæ rèi [vedi].