Prætor
Prætor [Pretore]
Era un magistrato, eletto dai comizi centuriati [vedi comìtia centuriàta]; era soggetto all’autorità dei consoli [vedi cònsules] rispetto ai quali rivestiva un grado immediatamente inferiore.
Al pari dei consoli il (—) era fornito di impèrium [vedi] e di potèstas [vedi Mancìpium], anche se quest’ultima gli competeva in misura minore.
Il (—) era essenzialmente preposto all’amministrazione della giustizia (salva la competenza correlativa degli edili curuli per le liti insorte nei pubblici mercati); sostituiva, inoltre, i consoli, qualora questi risultassero temporaneamente impediti a svolgere le loro attività.
I pretori rimanevano in carica un anno; al momento della nomina, essi (come facevano, d’altro canto, tutti i magistrati) pubblicavano un editto [vedi edìctum prætòrium], nel quale preannunciavano le linee direttive cui avrebbero ispirato l’esercizio della loro giurisdizione nell’anno di carica. In tal modo l’editto pretorile, disciplinando i nuovi istituti giuridici (allo scopo di fronteggiare adeguatamente le nuove esigenze giuridiche) divenne fonte insostituibile di produzione del diritto [vedi iùs honoràrium].
A partire dal 242 a.C., il numero dei pretori fu portato a due: il pretore urbano e il pretore peregrino.
Al prætor urbànus (istituito intorno al 367 a.C.), spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani. Questi svolse una fondamentale opera di innovazione dell’arcaico ius civile.
Infatti, pur senza arrivare al punto di negare la formale autorità del ius civile, di fatto il (—) applicava criteri risolutivi delle controversie del tutto difformi rispetto a quelli adottabili in base ad un ius, che nel II sec. a.C. era ormai ritenuto vecchio e inadeguato rispetto alle mutate esigenze socio-economiche.
Al prætor peregrìnus spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani e stranieri o tra stranieri. La nuova magistratura fu istituita allo scopo di soddisfare le esigenze di tutela giuridica nascenti dall’incremento dei rapporti economici e commerciali con gli stranieri, a seguito della sempre maggiore espansione della presenza romana nel Mediterraneo. Fu proprio la giurisprudenza creativa del prætor peregrinus a consentire l’affermazione e la diffusione di contratti quali compravendita [vedi èmptio-vendìtio], locazione [vedi locàtio-condùctio], società [vedi socìetas] e mandato [vedi mandàtum], accessibili sia ai romani che agli stranieri. Il magistrato risolveva le questioni di volta in volta sottopostegli attraverso una procedura molto rapida (per concepta verba), creando la regola di giudizio più adatta al caso concreto. Il procedimento giurisdizionale peregrino risultava molto diverso da quello che si svolgeva innanzi al pretore urbano tra i cittadini che era invece spiccatamente formalistico.
Il prætor peregrinus applicava i principi comuni a tutti i popoli, fondati sulla naturalis ratio. Agli stranieri, infatti, non era applicabile il diritto romano di pertinenza esclusiva dei cives [vedi civitas].
Il sistema si presentava quanto mai agile e duttile, privo di forme solenni e dunque rispondente alla necessaria speditezza degli affari. Pertanto fu ben presto adottato per regolare i rapporti tra i cittadini. Tale figura scomparve formalmente con la constitutio Antoniniana de civitate [vedi] che nel 212 d.C. estese la cittadinanza romana a tutti i cittadini.
I poteri di cui godevano i pretori in età repubblicana restarono virtualmente immutati anche dopo l’avvento del Principato: i loro provvedimenti furono, però, ritenuti appellabili presso il prìnceps od il Senato.
Era un magistrato, eletto dai comizi centuriati [vedi comìtia centuriàta]; era soggetto all’autorità dei consoli [vedi cònsules] rispetto ai quali rivestiva un grado immediatamente inferiore.
Al pari dei consoli il (—) era fornito di impèrium [vedi] e di potèstas [vedi Mancìpium], anche se quest’ultima gli competeva in misura minore.
Il (—) era essenzialmente preposto all’amministrazione della giustizia (salva la competenza correlativa degli edili curuli per le liti insorte nei pubblici mercati); sostituiva, inoltre, i consoli, qualora questi risultassero temporaneamente impediti a svolgere le loro attività.
I pretori rimanevano in carica un anno; al momento della nomina, essi (come facevano, d’altro canto, tutti i magistrati) pubblicavano un editto [vedi edìctum prætòrium], nel quale preannunciavano le linee direttive cui avrebbero ispirato l’esercizio della loro giurisdizione nell’anno di carica. In tal modo l’editto pretorile, disciplinando i nuovi istituti giuridici (allo scopo di fronteggiare adeguatamente le nuove esigenze giuridiche) divenne fonte insostituibile di produzione del diritto [vedi iùs honoràrium].
A partire dal 242 a.C., il numero dei pretori fu portato a due: il pretore urbano e il pretore peregrino.
Al prætor urbànus (istituito intorno al 367 a.C.), spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani. Questi svolse una fondamentale opera di innovazione dell’arcaico ius civile.
Infatti, pur senza arrivare al punto di negare la formale autorità del ius civile, di fatto il (—) applicava criteri risolutivi delle controversie del tutto difformi rispetto a quelli adottabili in base ad un ius, che nel II sec. a.C. era ormai ritenuto vecchio e inadeguato rispetto alle mutate esigenze socio-economiche.
Al prætor peregrìnus spettava l’esercizio della giurisdizione nelle controversie tra cittadini romani e stranieri o tra stranieri. La nuova magistratura fu istituita allo scopo di soddisfare le esigenze di tutela giuridica nascenti dall’incremento dei rapporti economici e commerciali con gli stranieri, a seguito della sempre maggiore espansione della presenza romana nel Mediterraneo. Fu proprio la giurisprudenza creativa del prætor peregrinus a consentire l’affermazione e la diffusione di contratti quali compravendita [vedi èmptio-vendìtio], locazione [vedi locàtio-condùctio], società [vedi socìetas] e mandato [vedi mandàtum], accessibili sia ai romani che agli stranieri. Il magistrato risolveva le questioni di volta in volta sottopostegli attraverso una procedura molto rapida (per concepta verba), creando la regola di giudizio più adatta al caso concreto. Il procedimento giurisdizionale peregrino risultava molto diverso da quello che si svolgeva innanzi al pretore urbano tra i cittadini che era invece spiccatamente formalistico.
Il prætor peregrinus applicava i principi comuni a tutti i popoli, fondati sulla naturalis ratio. Agli stranieri, infatti, non era applicabile il diritto romano di pertinenza esclusiva dei cives [vedi civitas].
Il sistema si presentava quanto mai agile e duttile, privo di forme solenni e dunque rispondente alla necessaria speditezza degli affari. Pertanto fu ben presto adottato per regolare i rapporti tra i cittadini. Tale figura scomparve formalmente con la constitutio Antoniniana de civitate [vedi] che nel 212 d.C. estese la cittadinanza romana a tutti i cittadini.
I poteri di cui godevano i pretori in età repubblicana restarono virtualmente immutati anche dopo l’avvento del Principato: i loro provvedimenti furono, però, ritenuti appellabili presso il prìnceps od il Senato.