Pìgnus

Pìgnus [Pegno; cfr. artt. 2784 ss. c.c.]

Il (—) era, nel diritto romano, un diritto reale di garanzia, il cui antecedente storico è rinvenibile nell’istituto della fidùcia cum creditòre [vedi]; il termine indicava anche il contratto reale [vedi obligàtiones re contràctae ] volto egualmente al raggiungimento delle finalità della fiducia cum creditore, senza, peraltro, produrre il trasferimento della proprietà della cosa oggetto del pignoramento.
Diritto reale di garanzia
Il (—) trasferiva la sola disponibilità materiale di una cosa; oggetto poteva esserne qualsiasi cosa in commercio, suscettibile di possesso e di alienazione.
Ma già in diritto classico la nozione di oggetto del (—) si ampliò fino a ricomprendervi i iura in re aliena [vedi], i crediti [vedi pignus nominis], i diritti scaturenti da (—), le cose future, le quote di una communio [vedi] e i frutti non ancora esistenti.
La sua configurazione come diritto reale di garanzia avvenne solo nel periodo classico: in particolare, venne considerato come diritto reale costituito in favore del creditore, a mezzo di un apposito negozio reale, che si perfezionava con la materiale consegna della cosa.
Si distinguevano, in relazione ai modi di costituzione del pegno:
— un pegno volontario (che si costituiva mediante accordo tra le parti, o per testamento);
— un pegno legale (previsto da singole disposizioni di legge, che intendevano tutelare particolari categorie di creditori).
Le fattispecie di pegno legale si distinguevano in casi di:
— (—) speciale, quando si esplicava su singoli e determinati beni del debitore. Ipotesi di (—) speciale possono riscontrarsi nel pegno riservato al locatore di un immobile urbano sui mobili dell’inquilino, ovvero nel pegno riservato al pupillo sulle cose che il tutore o un terzo avessero acquistato con suo denaro, etc.;
— (—) generale, quando vincolava l’intero patrimonio del debitore. Esempi di (—) generale possono rinvenirsi nel pegno riservato al fisco sul patrimonio del debitore di imposta, nel pegno riservato al minore sul patrimonio del suo tutore o curatore, etc.;
pegno giudiziale (costituito dal magistrato, si trattava del c.d. (—) ex causa iudicàti càptum) questa forma di pegno, avendo lo scopo di consentire l’esecuzione di sentenze emanate extra òrdinem [vedi cognìtio extra ordinem] dal magistrato, era materialmente posta in essere dai c.d. apparitòres [vedi], che si impossessavano di cose appartenenti al debitore condannato.
Il riconoscimento di questa nuova forma di garanzia fu, in origine, dovuto all’opera creativa del pretore, che accordò, al debitore che avesse pagato, un’azione per ottenere la restituzione della cosa data in pegno e riconobbe al creditore, per il periodo antecedente all’adempimento, la possèssio ad interdìcta [vedi] sulle cose date in pegno: si parlava, in questo caso, di (—) datum.
Successivamente, sempre in età classica, si andò affermando il principio che per costituire il pegno bastasse anche la semplice convèntio, senza la necessità della materiale consegna della cosa: ciò permise di ritenere, quindi, che oggetto di pignus convèntum (detto anche hypotheca [vedi]): si consentì, in tal modo l’ingresso, nel diritto romano, di questo nuovo istituto, di derivazione greca.
Proprietario della res [vedi] oggetto del (—) rimaneva sempre il debitore, che pertanto poteva disporne liberamente anche vendendola ad altri.
Al creditore pignoratizio veniva riconosciuto invece, come già detto, il iùs possidèndi [vedi]: il creditore aveva il diritto di possedere la cosa immediatamente se si trattava di pegno (e nel caso di inadempimento, se si trattava di ipoteca), potendo esercitare gli interdetti [vedi interdictum] a difesa del possesso. Il possesso del creditore, peraltro, non aveva valore ai fini dell’usucapione [vedi usucàpio] (mancando la iusta causa e la bona fides), né dava diritto all’uso della cosa (poteva anche convenirsi diversamente, ma se il creditore eccedeva i limiti del patto, al debitore era concessa un’àctio furti [vedi furtum] contro il creditore pignoratizio).
Era invece consentita l’eventuale percezione dei frutti della cosa a titolo di interessi del credito, se ciò era pattuito.
Le parti solevano aggiungere alla costituzione del pegno un patto (lex commissòria) per cui, qualora alla scadenza l’obbligazione non fosse stata adempiuta, il creditore diventava senz’altro proprietario della res oggetto del pegno in base al convenuto ius retentiònis (è opportuno precisare che il divieto del patto commissorio fu sconosciuto, in principio, al diritto romano [vedi pactum commissorium]).
Il patto commissorio fu successivamente vietato da Costantino, perché ritenuto troppo oneroso, per il debitore.
Al creditore era inoltre riconosciuto il ius distrahèndi [vedi]: se il ius possidendi, avendo funzioni di garanzia, non importava il soddisfacimento del credito, il ius distrahendi, attribuito al creditore in età tardo classica, aveva, invece, funzione satisfattoria.
Il ius distrahendi attribuiva, in caso di inadempimento, la facoltà di vendere la cosa data in pegno e di soddisfarsi sul ricavato, salvo l’obbligo di restituire al debitore l’eventuale residuo (hyperocha [vedi]). Tale diritto in origine era oggetto di una speciale convenzione (pactum de distrahendo pìgnore [vedi]), con cui il debitore all’uopo autorizzava il creditore. Successivamente la giurisprudenza classica, preso atto dell’enorme diffusione di tale patto, ammise che il ius vendendi dovesse ritenersi tacitamente incluso in ogni costituzione di pegno.
In conseguenza della vendita, l’acquirente acquistava il dominio, dal momento che il creditore vendeva ex pacto, cioè in base al consenso, esplicito o implicito, del debitore.
In epoca giustinianea venne fissato il principio che, se nessun compratore si presentava, il creditore poteva chiedere (con una impetràtio domìnii [vedi]) all’imperatore l’attribuzione della cosa, salvo il diritto del debitore di riscattarla entro due anni.
Adempiuta l’obbligazione, se il creditore non restituiva spontaneamente la cosa, il debitore poteva agire con l’àctio pigneratìcia in rem [vedi] directa.
Contratto reale
Le finalità del (—) potevano essere raggiunte attraverso la stipula di un apposito contratto reale, che si perfezionava con la consegna della res alla controparte.
Il contratto consisteva, in particolare, nel trasferimento del possesso di una cosa dal debitore al creditore, con il patto che il creditore tenesse presso di sé la cosa, a garanzia dell’adempimento di un suo credito, con l’obbligo di restituirla qualora il debitore avesse eseguito esattamente la prestazione. In caso contrario, egli poteva venderla, soddisfacendosi sul ricavato.
Per la restituzione della res oggetto del pignoramento, era concessa al debitore una actio (in factum) pigneraticia in personam [vedi]; in seguito, la giurisprudenza tardo-classica riconobbe anche una actio in ius [vedi] di buona fede.
In favore del creditore (che avesse sopportato spese per la conservazione della cosa, o per danni da evizione) fu apprestato un iudicium contrarium.