Ottaviano Augusto

Ottaviano Augusto (63 a.C.-14 d.C.)

Adottato da Caio Giulio Cesare [vedi], da cui era stato anche nominato erede universale, non ancora ventenne, con un’abilità ed un’astuzia inusitate per la sua giovane età, riuscì ad inserirsi nella lotta per le successioni contro M. Antonio, uno dei più valorosi luogotenenti di Cesare, approfittando del clima di confusione che si era instaurato a Roma dopo le Idi di marzo.
Assicuratosi in un primo momento il favore del popolo, a cui aveva pagato le cospicue elargizioni promesse da Cesare nel suo testamento, e quello del Senato, che lo aveva prescelto come proprio “paladino” per contrastare le mire egemoniche di Antonio, (—) fu costretto successivamente ad allearsi con il suo antagonista, contro la nobìlitas senatoria (che gli aveva negato il consolato da lui reclamato) ed i comuni nemici repubblicani-anticesariani a cui viceversa si era avvicinato il Senato.
Fattisi nominare magistrati straordinari per il governo dello stato, Antonio, Ottaviano e Lepido nel 43 a.C. (secondo triumvirato) portavano le loro milizie in Oriente contro l’esercito dei repubblicani di Bruto e Cassio, sconfiggendoli nella battaglia di Filippi, in Macedonia (42 a.C.).
Riuniti Oriente ed Occidente, i triumviri predisponevano una nuova divisione delle zone d’influenza: messo da parte Emilio Lepido, cui fu conferita la carica meramente onorifica di pòntifex maximus, Antonio ed Ottaviano rimasero i soli detentori del potere. Ma mentre Ottaviano acquistava prestigio e valore per la vittoria su Sesto Pompeo e sui pirati illirici, Antonio perdeva il suo credito, tradendo la sua patria per la regina di Egitto, Cleopatra.
Ottaviano approfittò della situazione propizia e portò il suo esercito e la sua flotta contro Antonio e Cleopatra. La guerra si concluse alla prima battaglia: il 2 settembre del 31 a.C. la flotta di (—) bloccava quella di Antonio e Cleopatra nelle acque di Azio. Ottaviano rimaneva arbitro incontrastato del potere.
Riconfermatagli, con l’acclamazione plebiscitaria dei suoi sostenitori, la carica di triumviro, (—) adoperò i suoi poteri per risolvere definitivamente la lunga crisi politica iniziata al tempo dei Gracchi.
Si avviò ad attuare una serie di radicali riforme istituzionali e sociali pur mantenendosi allo stesso tempo fedele all’ordinamento repubblicano e conservando buoni rapporti con la nobilitas senatoria, che, riconoscente, lo nominò nel 28 a.C. Prìnceps Senatus.
Nella storica seduta del 13 gennaio 27 a.C., il Senato riconosceva definitivamente la sua posizione, confermandogli i poteri a lui attribuiti tra gli anni 31-27 a.C. Senza assumere il titolo di dittatore, egli prese successivamente il comando supremo e illimitato (imperium proconsulare maius [vedi]), a cui si aggiunse la tribunicia potestas nel 23 a.C. che gli garantiva l’inviolabilità ed il potere di controllo di tutti gli affari di politica interna.
In seguito gli fu conferito il consolato a vita e, come attributo onorifico, il titolo di pater patriæ [vedi] e di pontifex. Come massima attribuzione, fu proclamato Augustus, ossia consacrato agli dei.
Si apriva con Augusto un nuovo periodo storico della civiltà romana: accanto alle antiche istituzioni repubblicane si inseriva un nuovo “organo” politico extra òrdinem: il princeps, dotato di una posizione superiore, unica (quasi monarchica), garante dell’ordine e della pax romana. L’età augustea si presenta totalmente caratterizzata da questo continuo processo di sovrapposizione delle due sfere di potere.
(—) attuò una diplomatica e prudente opera di contemperamento tra l’iniziativa riformatrice e l’attività di ripristino e restaurazione delle funzioni istituzionali degli organi repubblicani.
Il ceto senatoriale continuò ad essere la classe dirigente del nuovo stato, ma fu affiancata da nuovi organi di governo locale, indispensabili per una più agile amministrazione della nuova e complessa realtà cittadina ed extraurbana. Tre furono le cariche: præfectus ùrbi [vedi]; præfectus vigilum [vedi praefecti; praefectus ùrbi]; præfectus annonæ [vedi].
La coesistenza dei due ordini si rifletteva anche nella nuova organizzazione amministrativa data da Augusto al territorio italico. Accanto alle province amministrate e controllate dal Senato (dette appunto senatoriæ), istituì le province (dette imperiali) sottoposte al controllo dell’imperatore e rette da un suo luogotenente.
Correlativamente tutti i tributi delle province senatorie venivano versate all’erario, il tesoro dello Stato, mentre i tributi delle province imperiali venivano versati al fiscus Caesaris [vedi], cassa personale dell’imperatore.
Ingente fu l’attività legislativa realizzata da Augusto, tesa essenzialmente al recupero dei valori tradizionali del costume romano.
Fondamentali furono le disposizioni introdotte allo scopo di ripristinare il ruolo tradizionale della famiglia e il culto della patria e quelle dirette alla repressione di nuovi crimini.
Non meno importanti furono le leggi fatte votare nel 17 a.C. ai comìtia centuriàta [vedi] dal princeps in materia di procedure giudiziarie [vedi lex Iulia iudiciòrum privatòrum; lex Iulia iudiciòrum publicòrum].
In politica estera, (—), più che delle conquiste, si occupò del consolidamento e rafforzamento di confini, provvedendo alla pacificazione della Spagna e alla definitiva disfatta dei Parti.
Preoccupato soprattutto per la successione al trono, negli ultimi anni del suo governo, (—) provvide alla scelta del suo successore. Dopo alcune designazioni tra i suoi familiari, tutte seguite dalla morte precoce degli eredi, la scelta definitiva cadde sul figliastro Tiberio [vedi] cui nel 13 d.C. fece attribuire poteri quasi pari ai suoi.
Nel 14 d.C., all’età di 77 anni, (—) moriva a Nola, durante un viaggio.