Mètus
Mètus [Violenza morale; cfr. artt. 1434 ss. c.c.]
Uno dei vizi della volontà del negozio giuridico: consiste in uno stato di oppressione psichica, originata da minacce proferite da un’altra persona e che inducono un soggetto a concludere un negozio giuridico. In particolare, si distingue in dottrina tra:
— vis, che è la violenza morale in se stessa, la coartazione della altrui volontà attraverso minacce;
— (—) che è il timore, il senso passivo di spavento prodotto dalla vis.
In diritto romano il (—) trovò da principio scarso, se non insignificante, rilievo; in diritto classico si finì col ritenere rilevante, per inficiare la volontà negoziale, la minaccia attuale di un male ingiusto e notevole, alla persona stessa del contraente o alle persone dei suoi stretti congiunti, posta in essere al fine di costringerlo a concludere un negozio.
È opportuno precisare che la violenza morale (nella quale il soggetto, ètsi coactus, tàmen vòluit, cioè, seppure minacciato, manifestò una volontà negoziale) era diversa dalla violenza fisica (nella quale la vittima non manifestava alcuna volontà negoziale: la manifestazione di volontà è frutto della forza bruta dell’aggressore che, ad es., guidi la mano della vittima per apporre una firma in calce ad un atto).
Tra i rimedi apprestati in favore della vittima della violenza, ricordiamo:
— l’in ìntegrum restitùtio ob metum [vedi];
— l’àctio quod metus causa [vedi];
— l’excèptio metus [vedi].
Vizi della volontà
Nel ius civile non era riconosciuta alla volontà alcuna rilevanza: per il formalismo che lo caratterizzava, si riteneva non solo necessario, ma anche sufficiente il compimento di determinati atti solenni, affinché il negozio giuridico potesse produrre i suoi effetti (uti lingua nuncupàssit, ita ius esto).
Solo con il ius gentium ed il ius honorarium, grazie anche al successivo intervento della giurisprudenza classica, si accordò una certa rilevanza alla volontà: accertata in concreto la presenza di un elemento perturbatore che avesse deviato il processo formativo della volontà manifestata (vizio della volontà), il magistrato concedeva l’excèptio o l’in ìntegrum restitùtio.
La giurisprudenza romana, aliena ad astrazioni, non costruì una teoria generale dei vizi della volontà, analizzando solo fattispecie concrete.
Tre furono i vizi cui fu dato rilievo: il dolus malus, il metus e l’error facti.
Uno dei vizi della volontà del negozio giuridico: consiste in uno stato di oppressione psichica, originata da minacce proferite da un’altra persona e che inducono un soggetto a concludere un negozio giuridico. In particolare, si distingue in dottrina tra:
— vis, che è la violenza morale in se stessa, la coartazione della altrui volontà attraverso minacce;
— (—) che è il timore, il senso passivo di spavento prodotto dalla vis.
In diritto romano il (—) trovò da principio scarso, se non insignificante, rilievo; in diritto classico si finì col ritenere rilevante, per inficiare la volontà negoziale, la minaccia attuale di un male ingiusto e notevole, alla persona stessa del contraente o alle persone dei suoi stretti congiunti, posta in essere al fine di costringerlo a concludere un negozio.
È opportuno precisare che la violenza morale (nella quale il soggetto, ètsi coactus, tàmen vòluit, cioè, seppure minacciato, manifestò una volontà negoziale) era diversa dalla violenza fisica (nella quale la vittima non manifestava alcuna volontà negoziale: la manifestazione di volontà è frutto della forza bruta dell’aggressore che, ad es., guidi la mano della vittima per apporre una firma in calce ad un atto).
Tra i rimedi apprestati in favore della vittima della violenza, ricordiamo:
— l’in ìntegrum restitùtio ob metum [vedi];
— l’àctio quod metus causa [vedi];
— l’excèptio metus [vedi].
Vizi della volontà
Nel ius civile non era riconosciuta alla volontà alcuna rilevanza: per il formalismo che lo caratterizzava, si riteneva non solo necessario, ma anche sufficiente il compimento di determinati atti solenni, affinché il negozio giuridico potesse produrre i suoi effetti (uti lingua nuncupàssit, ita ius esto).
Solo con il ius gentium ed il ius honorarium, grazie anche al successivo intervento della giurisprudenza classica, si accordò una certa rilevanza alla volontà: accertata in concreto la presenza di un elemento perturbatore che avesse deviato il processo formativo della volontà manifestata (vizio della volontà), il magistrato concedeva l’excèptio o l’in ìntegrum restitùtio.
La giurisprudenza romana, aliena ad astrazioni, non costruì una teoria generale dei vizi della volontà, analizzando solo fattispecie concrete.
Tre furono i vizi cui fu dato rilievo: il dolus malus, il metus e l’error facti.