Manumìssio

Manumìssio [Affrancazione]

La (—) era uno degli atti con cui lo schiavo acquistava lo status libertàtis [vedi status]: si trattava di un atto irrevocabile, che tollerava, però, l’apposizione di condizioni; lo schiavo affrancato era detto libèrtus [vedi libertìnitas].
I modi di manumissio, secondo il ius civile (c.d. manumissiones iustæ ac legitimæ), che producevano l’effetto di rendere il servo libero e cittadino romano, furono:
— la (—) vindìcta: consisteva in un finto processo nel quale un cittadino, il cd. adsèrtor in libertàtem o libertatis, in forma solenne, dichiarava nei confronti del padrone, lo stato di libertà dello schiavo (vindicàtio ex servitùte in libertàtem); non opponendosi il >dòminus [vedi] a tale dichiarazione, il magistrato pronunciava l’addìctio libertatis, confermava, cioè, la dichiarazione dell’adsertor. In seguito si diede meno rilievo ad elementi formali (simboli e cerimoniali), ritenendosi sufficiente che il padrone dichiarasse dinanzi al magistrato la sua volontà di affrancazione.
La (—) poteva anche essere fatta dinanzi ad un magistrato in trànsitu, cioè senza alcuna solennità, “durante il suo passaggio”;
— la (—) cènsu: veniva compiuta dal padrone e consisteva nell’iscrivere lo schiavo che si voleva affrancare nelle liste dei cittadini;
— la (—) testamento: consisteva nella dichiarazione, fatta dal dominus nel proprio testamento, di voler affrancare il proprio schiavo. Essa poteva aver luogo in due modi:
dirèctis vèrbis, cioè quando era ordinata direttamente dal testatore, con la conseguenza che lo schiavo diventava libero al momento dell’accettazione dell’eredità da parte dell’erede: lo schiavo diventava libertus orcìnus;
per fideicommìssum, quando il testatore imponeva all’erede, al legatario o al fedecommissario l’obbligo di liberare un servo determinato: il manomesso diventava libertus del manomittente.
Nel periodo repubblicano prevalsero forme meno solenni, (c.d. manumissio iure prætorio) che producevano effetti giuridici limitati. Si diffuse la (—) inter amìcos, che avveniva in forma orale davanti a testimoni; tale dichiarazione, tuttavia, proprio perché priva di forme solenni, non aveva effetti civili, per cui non era raro il caso in cui il padrone, pentitosi, rivendicasse il suo dominio sul servo. Per ovviare a questo inconveniente, il pretore col tempo finì col precludere al padrone la rèi vindicàtio (c.d. petìtio ex libertate in servitutem), creando così una forma di libertà di fatto.
In epoca classica e postclassica dalla (—) inter amicos derivarono due autonome forme di manumissiònes: la (—) per epìstulam, consistente in uno scritto indirizzato ad una persona, in cui era espressa la volontà di liberare lo schiavo, e la (—) per mènsam, cioè quella fatta durante un banchetto alla presenza dei commensali. Gli affrancati iure prætorio, subivano delle limitazioni in campo pubblicistico, essendo privi del ius suffragii [vedi] e del ius honorum [vedi].
Comune all’epoca repubblicana e classica è anche la (—) fideicommissària, rimessa per fedecommesso all’erede e che attribuiva al servo, in caso di inottemperanza dell’erede, il diritto di adire il magistrato per ottenerla.
Alla fine dell’epoca repubblicana, per impedire che il proliferare indiscriminato di affrancazioni permettesse l’acquisto della cittadinanza romana ad un numero eccessivo di schiavi, intervennero due leggi, la lex Fufia Canìnia [vedi] del 2 a.C. e la lex Ælia Sentia [vedi] del 4 d.C.:
— la lex Fufia Caninia stabilì che per testamento poteva essere manomesso solo un numero di schiavi proporzionale a quelli posseduti dal testatore;
— la lex Ælia Sentia, a sua volta, stabilì tre principi:
— erano vietate le affrancazioni in frode ai creditori;
— non divenivano cittadini romani, ma soltanto Latini [vedi] (detti, appunto, Latini Æliàni dal nome della legge) gli schiavi minori di 30 anni o affrancati da padroni minori di 20 anni, salvo l’esistenza di una iùsta causa dimostrata al cospetto del c.d. consìlium (consesso di cittadini);
— gli schiavi già puniti per aver commesso qualche delitto, se affrancati, si ritrovavano nella condizione di peregrìni deditìcii, che non potevano risiedere entro cento miglia dalla città di Roma, non avevano capacità né di disporre né di ricevere per testamento e non potevano mai diventare cittadini romani.
In epoca imperiale, sotto l’influsso del Cristianesimo, venne introdotta una nuova forma di affrancazione, la (—) in sacrosànctis ecclèsiis, consistente in una solenne dichiarazione di voler liberare il servo fatta dal dòminus davanti all’autorità ecclesiastica.
Con Giustiniano, infine, si affermò definitivamente il principio del fàvor libertàtis [vedi] con la conseguenza che ebbe effetto di affrancazione qualsiasi manifestazione di volontà in tal senso espressa dal padrone, con piena libertà di forma: fu abrogata del tutto la lex Fufia Caninia e quasi del tutto la lex Ælia Sentia, riconoscendosi ai Latini Iuniàni [vedi] e ai deditìcii Æliani [vedi] la libertà e la cittadinanza romana.