Mandàtum pecùniæ credèndæ
Mandàtum pecùniæ credèndæ [Mandato di credito; cfr. artt. 1958-1959 c.c.]
Il (—) (mandato di credito) consisteva nell’incarico che taluno dava ad un altro di prestare danaro ad un terzo: l’istituto veniva usato a scopo di garanzia personale delle obbligazioni [vedi obligàtio].
Nella compilazione giustinianea il (—) si presentava come un contratto che con l’apparenza esteriore del mandato, esplicava la funzione obiettiva della fideiussione.
La validità del mandato di credito fu riconosciuta, secondo parte della dottrina, dai tempi di Sabino [vedi] in poi: precedentemente nessuna rilevanza giuridica aveva l’incarico rivolto ad altri di concedere un mutuo, in nulla differenziandosi tale “invito” dal mandatum tua gràtia [vedi mandatum] che costituiva un’esortazione o un consiglio nel solo interesse del consigliato.
Il (—) era un contratto a forma libera, da cui nasceva un’obligatio vèrbis contràcta [vedi].
Eseguito il mandato, cioè il mutuo, se il mutuatario non pagava, il mandatario poteva agire col contràrium iudìcium mandati contro il mandante per far valere la garanzia: il mandante, sostanzialmente, acquistava una situazione giuridica analoga a quella del fideiussore, garantendo l’adempimento del mutuatario.
A differenza della fideiùssio [vedi], il mandatum non era un contratto accessorio del rapporto di credito garantito, anzi era un contratto collegato rispetto al contratto di mutuo: l’obbligazione del mandante era valida anche se era invalida quella del debitore principale.
In età classica non furono mai espressamente riconosciuti al mandante di credito i benefici (divisiònis, òrdinis [vedi benefìcium divisiònis; beneficium òrdinis]) concessi ai fideiussori.
Solo nel diritto postclassico fu concesso il beneficium excussiònis [vedi], anche al mandante di credito e si arrivò alla totale equiparazione tra il (—) e la fideiussio [vedi].
Il mandato doveva essere tale da non ledere il buon costume (era nullo, pertanto, il mandatum rei turpis): Ulpiano [vedi] ritenne nullo il mandato dell’adulèscens luxuriòsus che aveva dato ad un altro l’incarico di far da fideiussore ad una meretrice.
Per Papiniano [vedi] era nullo il mandato avente ad oggetto un credito già sorto, perché ciò era incompatibile con la figura del mandato.
Figura particolare era il mandatum adeùndæ hereditàtis per il quale, secondo Salvio Giuliano [vedi], rispondevano delle passività dell’erede anche coloro che avessero dato mandato di accettare, convincendo l’erede.
Il creditore-mandatario poteva usufruire di due mezzi di tutela:
— nei confronti del debitore, poteva agire con l’àctio certæ crèditæ pecuniæ;
— nei confronti del terzo-mandante, poteva agire con l’actio mandati contraria.
Il (—) (mandato di credito) consisteva nell’incarico che taluno dava ad un altro di prestare danaro ad un terzo: l’istituto veniva usato a scopo di garanzia personale delle obbligazioni [vedi obligàtio].
Nella compilazione giustinianea il (—) si presentava come un contratto che con l’apparenza esteriore del mandato, esplicava la funzione obiettiva della fideiussione.
La validità del mandato di credito fu riconosciuta, secondo parte della dottrina, dai tempi di Sabino [vedi] in poi: precedentemente nessuna rilevanza giuridica aveva l’incarico rivolto ad altri di concedere un mutuo, in nulla differenziandosi tale “invito” dal mandatum tua gràtia [vedi mandatum] che costituiva un’esortazione o un consiglio nel solo interesse del consigliato.
Il (—) era un contratto a forma libera, da cui nasceva un’obligatio vèrbis contràcta [vedi].
Eseguito il mandato, cioè il mutuo, se il mutuatario non pagava, il mandatario poteva agire col contràrium iudìcium mandati contro il mandante per far valere la garanzia: il mandante, sostanzialmente, acquistava una situazione giuridica analoga a quella del fideiussore, garantendo l’adempimento del mutuatario.
A differenza della fideiùssio [vedi], il mandatum non era un contratto accessorio del rapporto di credito garantito, anzi era un contratto collegato rispetto al contratto di mutuo: l’obbligazione del mandante era valida anche se era invalida quella del debitore principale.
In età classica non furono mai espressamente riconosciuti al mandante di credito i benefici (divisiònis, òrdinis [vedi benefìcium divisiònis; beneficium òrdinis]) concessi ai fideiussori.
Solo nel diritto postclassico fu concesso il beneficium excussiònis [vedi], anche al mandante di credito e si arrivò alla totale equiparazione tra il (—) e la fideiussio [vedi].
Il mandato doveva essere tale da non ledere il buon costume (era nullo, pertanto, il mandatum rei turpis): Ulpiano [vedi] ritenne nullo il mandato dell’adulèscens luxuriòsus che aveva dato ad un altro l’incarico di far da fideiussore ad una meretrice.
Per Papiniano [vedi] era nullo il mandato avente ad oggetto un credito già sorto, perché ciò era incompatibile con la figura del mandato.
Figura particolare era il mandatum adeùndæ hereditàtis per il quale, secondo Salvio Giuliano [vedi], rispondevano delle passività dell’erede anche coloro che avessero dato mandato di accettare, convincendo l’erede.
Il creditore-mandatario poteva usufruire di due mezzi di tutela:
— nei confronti del debitore, poteva agire con l’àctio certæ crèditæ pecuniæ;
— nei confronti del terzo-mandante, poteva agire con l’actio mandati contraria.