Magistràtus

Magistràtus

Il termine (—) designava, nel mondo romano, il titolare di una carica pubblica (e non, come nel linguaggio contemporaneo, il giudice investito della decisione di una controversia penale o civile).
In età repubblicana i (—) si distinguevano in maiòres e minòres, a seconda che fossero forniti di potèstas [vedi] e impèrium [vedi] o di sola potestas.
Dalle magistrature ordinarie (cioè essenziali al normale svolgimento della vita della cìvitas [vedi] romana), si distinguevano quelle straordinarie (create per fronteggiare speciali accadimenti).
Tra i magistrati ordinari rientravano i consoli [vedi cònsules], il pretore [vedi prætor], gli edili [vedi ædìlitas], i questori [vedi quæstòres], i censori [vedi censòres]; tra i magistrati straordinari rientravano, invece, il dittatore [vedi dictàtor], i tribùni mìlitum [vedi], i triùmviri àgris dàndis [vedi].
Mentre in età arcaica la designazione del (—) era effettuata dal predecessore, secondo la regola “magistrato crea magistrato” (cooptàtio [vedi]), in epoca repubblicana, nel rispetto del nuovo spirito democratico, si attribuì l’elezione del (—) alle assemblee popolari [vedi comìtia; concìlia].
Per presentarsi come candidato ad una magistratura, il cittadino romano doveva possedere una serie di requisiti, positivi e negativi. Erano ritenuti indispensabili il iùs suffragii [vedi], l’ingenuità [vedi ingenuus], il patriziato o l’appartenenza a famiglie plebee (a seconda che si trattasse di cariche tipicamente patrizie o plebee), nonché il raggiungimento di un’età minima (determinata dalla legge per le singole cariche); non poteva essere eletto, inoltre, colui che fosse stato colpito da infamia [vedi].
In età repubblicana fu fortemente sentita l’esigenza di imporre precise limitazioni al potere di volta in volta attribuito ai singoli individui chiamati a ricoprire le varie cariche.
Allo scopo di evitare probabili degenerazioni tiranniche fu, infatti, predisposto un complesso di regole, atte ad instaurare un sistema di garanzie e di controllo. In particolare:
— fu stabilito che il (—) dovesse render conto del proprio operato, così da essere eventualmente perseguito per infrazioni ed omissioni (il (—) cum imperio poteva essere sottoposto a giudizio solo al termine dell’anno in carica);
— fu pienamente attuato il principio della collegialità e della par potestas tra colleghi (per le magistrature “gemelle” come il consolato);
— fu vietato, inoltre, il cumulo e l’iterazione delle cariche: non era concesso al cittadino di ricoprire più magistrature contemporaneamente, né di esercitare nuovamente una carica da lui già ricoperta.
Il potere magistratuale era limitato ulteriormente per la compresenza di altre magistrature e per l’esistenza di un reciproco controllo tra gli organi della costituzione repubblicana (si pensi, ad es., al Senato).