Locàtio-condùctio

Locàtio-condùctio [Locazione; cfr. artt. 1571-1606 c.c.; L. 27-7-1978, n. 392]

La locazione, in diritto romano, era un genus, più che un contratto autonomo, in quanto al suo schema potevano esser ricondotte figure diverse l’una dall’altra.
Sotto un profilo generale, col termine (—) era indicato quel contratto consensuale, col quale una parte (locatore) si obbligava a mettere nella materiale disposizione dell’altra (conduttore) una cosa, che quest’ultimo si obbligava a restituire dopo averla goduta per un certo tempo, o dopo averla lavorata, manipolata, trasformata nel modo pattuito.
Le origini storiche della (—) sono assai incerte:
— un primo orientamento la ricollega alle prime locazioni dello Stato;
— un secondo orientamento ritiene che la (—) si affermò in Roma attraverso il iùs honoràrium [vedi]: il suo precedente nel ius civile [vedi] sarebbe stato il precàrium [vedi], istituto col quale il proprietario di una cosa ne cedeva il possesso ad altri in cambio di un corrispettivo;
— altra dottrina esclude la derivazione della (—) dal precàrium, con il quale poteva ravvisarsi solo un’identità di funzione.
Si è rilevato che la vendita [vedi èmptio-vendìtio] e la locazione, nel diritto romano, non furono nettamente distinte, poiché entrambe potevano essere costitutive di sole obbligazioni (mentre nel diritto moderno la vendita ha efficacia traslativa). Ciò che distingueva i due contratti non era la perpetuità del rapporto (potendo esservi anche una locazione perpetua), ma la funzione del contratto: la vendita attribuiva al compratore un potere assoluto e definitivo, la locazione, invece, attribuiva solo il godimento della cosa. Inoltre, il compratore vantava una iusta causa usucapiònis ed il suo possesso era tutelato con l’àctio Publiciàna [vedi], mentre il conduttore non aveva alcuna tutela reale.
Il contratto di locazione aveva di solito una durata determinata, ma poteva essere stipulato anche in perpetuum (salvo, in questo caso, il diritto di recesso di ciascun contraente). Un tale contratto veniva da alcuni giuristi qualificato come compravendita; Gaio [vedi] (Inst., III, 145), pur con dubbi, riferisce che secondo la tesi prevalente doveva essere considerato egualmente come locazione.
A tutela del locatore e del conduttore erano apprestate, rispettivamente, un’actio locàti [vedi] ed un’actio condùcti [vedi] entrambe azioni di buona fede [vedi Àctio bonæ fidei].
Elementi essenziali della (—) erano la res (o le operæ, che venivano locate) e la mèrces (il corrispettivo). La merces doveva essere certa (Gai Inst., 3.142) e, normalmente, consisteva in una controprestazione pecuniaria.
Nell’ambito della (—) confluirono tre figure: locatio rèi [vedi]; locatio òperis [vedi]; locatio operàrum [vedi].