Lex Plàutia de vi

Lex Plàutia de vi

Legge di data incerta (80-70 a.C.) emanata in tema di crìmen vis [vedi]: configurò, per la prima volta in diritto romano, questo delitto, comminando per esso la pena di morte.
Al condannato era però consentito optare per la commutazione della pena dell’esilio [vedi interdìctio aqua et igni] volontario (c.d. iùs exìlii). Sancì, inoltre, la inusucapabilità delle cose di cui ci si fosse impossessati con la violenza, introducendo, in tal modo, un nuovo requisito dell’usucapio [vedi], quello della “res habilis ad usucapionem”.
Lex Plautia Papìria de civitàte sòciis dànda
Legge emanata dai tribuni M. Plautius Silvanus e C. Papirio Carbo nell’89 a.C., per completare la lex Iulia [vedi] nella concessione della cittadinanza agli Italici. Essa accordava la cittadinanza a tutti i soci [vedi socii] che al giorno della rogazione della legge fossero domiciliati in Italia (fino all’Arno e all’Esino) e che entro sessanta giorni ne presentassero domanda formale (profèssio) al pretore urbano. Dall’analisi delle fonti risulta che, a fianco di un caput generale relativo alla naturalizzazione collettiva dei socii Italici, esistesse un caput secondario che offriva la cittadinanza in modo personale e diretta a quei soggetti che, pur non essendo italici, erano “adscrìpti” (cioè associati) ad una città italica federata presso la quale, però, non avevano domicilio.