Lex
Lex [Legge]
Secondo un’immortale definizione gaiana (Inst. I, 3) “lex est quod populus iùbet atque constìtuit”, cioè “legge è quel che il popolo ordina e stabilisce”.
La legge era una fonte speciale del diritto romano e consisteva in una deliberazione avente contenuto normativo, adottata dal popolo, riunito nei comìtia [vedi], su proposta di un magistrato, e con la conferma del Senato.
Ad essa fu successivamente assimilata ogni deliberazione normativa della plebe [vedi plebiscìtum] su proposta di un tribuno della plebe [vedi tribuni plèbis].
Dal punto di vista formale si distinse tra:
— lex rogàta, cioè la legge proposta da un magistrato nei comizi e approvata dal voto di questi;
— lex data, la legge emanata in modo unilaterale dal magistrato, senza il concorso cioè del voto di coloro ai quali si riferiva; tra le leges datæ rientravano gli ordinamenti imposti dai magistrati alle colonie, ai municipi, alle province.
Alcuni autori ricordano anche le leges dictæ, regolamenti di carattere amministrativo emanati dall’autorità per disciplinare la riscossione delle imposte o l’esecuzione di grandi imprese.
Il disegno di legge (rogàtio) veniva preventivamente approvato in Senato e successivamente esposto in luogo pubblico per almeno tre settimane (trinùndinum), durante le quali il popolo poteva essere riunito dal magistrato per eventuali discussioni. L’atto della pubblicazione recava il nome di promulgàtio [vedi] e con esso aveva inizio il procedimento legislativo. La promulgatio fissava anche la data di convocazione dei comizi e della votazione.
Alla mezzanotte del giorno fissato (non si potevano scegliere né i giorni giudiziari, né i giorni festivi) il magistrato, tratti gli auspici, convocava il popolo per le votazioni. Il voto poteva essere espresso o con consenso (uti rògas - come tu proponi), o con dissenso (antiqua pròbo - approvo la vecchia disciplina) o con un’astensione (non lìquet - non ci si pronuncia). Terminata la votazione, si procedeva al computo dei voti (diribìtio) e alla comunicazione al popolo dell’esito del voto (renuntiàtio).
La proclamazione del risultato produceva l’effetto della immediata entrata in vigore della legge.
La legge constava di tre parti: la præscrìptio che conteneva le indicazioni formali (nome del magistrato proponente, il giorno e il luogo della votazione, la prima unità comiziale e il primo cittadino votante); la rogàtio, cioè il dispositivo della legge; la sànctio che garantiva l’efficacia della legge sancendo le conseguenze delle violazioni della stessa.
La legge romana aveva efficacia personale, e non già territoriale, in quanto si applicava a tutti i cives ovunque si trovassero ma non si applicava ai non cittadini, anche se residenti in territorio romano.
Le leges si distinguevano, inoltre, secondo una terminologia tardo classica, in:
— perfectæ, se sancivano la nullità dell’atto contrario alle loro disposizioni (ad es., era perfecta la lex Vocònia [vedi], che dichiarava nulli i legati fatti per un ammontare maggiore della quota spettante all’erede);
— minus quam perfectæ, se non disponevano la nullità dell’atto, ma una pena a carico del trasgressore (ad es., era minus quam perfecta la lex Furia testamentaria [vedi], che imponeva la pena del quadruplo a chi avesse ricevuto un legato superiore a 1.000 assi);
— imperfectæ, se nulla disponevano in caso di trasgressione (ad es., era imperfecta la lex Cincia de donis et munèribus [vedi], che vietava senza, tuttavia, sanzionarla, la donazione oltre una certa misura).
Secondo un’immortale definizione gaiana (Inst. I, 3) “lex est quod populus iùbet atque constìtuit”, cioè “legge è quel che il popolo ordina e stabilisce”.
La legge era una fonte speciale del diritto romano e consisteva in una deliberazione avente contenuto normativo, adottata dal popolo, riunito nei comìtia [vedi], su proposta di un magistrato, e con la conferma del Senato.
Ad essa fu successivamente assimilata ogni deliberazione normativa della plebe [vedi plebiscìtum] su proposta di un tribuno della plebe [vedi tribuni plèbis].
Dal punto di vista formale si distinse tra:
— lex rogàta, cioè la legge proposta da un magistrato nei comizi e approvata dal voto di questi;
— lex data, la legge emanata in modo unilaterale dal magistrato, senza il concorso cioè del voto di coloro ai quali si riferiva; tra le leges datæ rientravano gli ordinamenti imposti dai magistrati alle colonie, ai municipi, alle province.
Alcuni autori ricordano anche le leges dictæ, regolamenti di carattere amministrativo emanati dall’autorità per disciplinare la riscossione delle imposte o l’esecuzione di grandi imprese.
Il disegno di legge (rogàtio) veniva preventivamente approvato in Senato e successivamente esposto in luogo pubblico per almeno tre settimane (trinùndinum), durante le quali il popolo poteva essere riunito dal magistrato per eventuali discussioni. L’atto della pubblicazione recava il nome di promulgàtio [vedi] e con esso aveva inizio il procedimento legislativo. La promulgatio fissava anche la data di convocazione dei comizi e della votazione.
Alla mezzanotte del giorno fissato (non si potevano scegliere né i giorni giudiziari, né i giorni festivi) il magistrato, tratti gli auspici, convocava il popolo per le votazioni. Il voto poteva essere espresso o con consenso (uti rògas - come tu proponi), o con dissenso (antiqua pròbo - approvo la vecchia disciplina) o con un’astensione (non lìquet - non ci si pronuncia). Terminata la votazione, si procedeva al computo dei voti (diribìtio) e alla comunicazione al popolo dell’esito del voto (renuntiàtio).
La proclamazione del risultato produceva l’effetto della immediata entrata in vigore della legge.
La legge constava di tre parti: la præscrìptio che conteneva le indicazioni formali (nome del magistrato proponente, il giorno e il luogo della votazione, la prima unità comiziale e il primo cittadino votante); la rogàtio, cioè il dispositivo della legge; la sànctio che garantiva l’efficacia della legge sancendo le conseguenze delle violazioni della stessa.
La legge romana aveva efficacia personale, e non già territoriale, in quanto si applicava a tutti i cives ovunque si trovassero ma non si applicava ai non cittadini, anche se residenti in territorio romano.
Le leges si distinguevano, inoltre, secondo una terminologia tardo classica, in:
— perfectæ, se sancivano la nullità dell’atto contrario alle loro disposizioni (ad es., era perfecta la lex Vocònia [vedi], che dichiarava nulli i legati fatti per un ammontare maggiore della quota spettante all’erede);
— minus quam perfectæ, se non disponevano la nullità dell’atto, ma una pena a carico del trasgressore (ad es., era minus quam perfecta la lex Furia testamentaria [vedi], che imponeva la pena del quadruplo a chi avesse ricevuto un legato superiore a 1.000 assi);
— imperfectæ, se nulla disponevano in caso di trasgressione (ad es., era imperfecta la lex Cincia de donis et munèribus [vedi], che vietava senza, tuttavia, sanzionarla, la donazione oltre una certa misura).