Lègis àctio sacramènti
Lègis àctio sacramènti
La (—) aveva origini molto antiche, e poteva essere esercitata a difesa di ogni diritto per il quale non fosse specificatamente prevista una procedura diversa: era cioè un’actio generalis. Come è possibile desumere dalla descrizione gaiana, contenuta nelle Institutiones, essa consisteva in una sorta di scommessa fatta dalle parti in lite. Fissati, infatti, i termini della controversia, ciascuna delle parti faceva una promessa solenne (detta appunto sacramèntum), di pagare in favore dell’erario una determinata somma in caso di soccombenza; toccava poi ad un iùdex, nominato dal magistrato dinanzi a cui si svolgeva la fase in iure, stabilire quale delle parti avesse ragione e quale avesse, invece, dolosamente promesso la somma.
Si distinguevano una (—) in rem (con la quale si faceva valere un diritto reale su una cosa, costituendo oggetto del contendere la titolarità di un diritto su una res) ed una (—) in personam (nella quale oggetto del contendere era l’esistenza o meno, a carico del convenuto, di una obbligazione).
• Legis actio sacramenti in rem
Della (—) Gaio [vedi] ci ha offerto una descrizione sufficientemente completa.
Attore e convenuto comparivano dinanzi al magistrato portando la cosa controversa o una parte simbolica di essa, se si trattava di cosa non trasportabile. L’attore, tenendo in mano una verga (festùca), toccava la cosa e pronunciava la frase “hunc ego hòminem ex iùre Quirìtium meum esse aio secundum suam causam. Sicut dixi, ecce tibi vindìcta impòsui” (affermo solennemente che questo schiavo mi appartiene per diritto quiritario, in conformità alla sua destinazione. Ecco, così come ho dichiarato, ti impongo la mia vindicta); contestualmente toccava la cosa con la festuca, operando la vindicàtio.
Come spiega Gaio, poiché la festuca rappresentava la lancia di guerra, questo atto simboleggiava l’occupazione bellica e, quindi, nel toccare la cosa con la festuca, l’attore manifestava simbolicamente il suo diritto di piena proprietà sulla cosa: in epoca più antica, infatti, il diritto tipico di proprietà era quello sulle cose prese al nemico.
A questo punto due erano le possibilità.
Se il convenuto non compiva alcuna dichiarazione contraria, la cosa restava definitivamente in proprietà dell’attore (a questa forma, si ricorse molto spesso per trasmettere i beni oggetto di compravendita).
Se, invece, il convenuto compiva la stessa dichiarazione ed eseguiva gli stessi atti compiuti già dall’attore, operando la vindicatio contraria, sorgeva la controversia vera e propria.
In questo caso il magistrato intimava ad entrambe le parti di abbandonare la cosa contesa (c.d. lis, pronunciando la frase: “mìttite ambo rem”); a ciò seguiva la reciproca scommessa — la somma oggetto della sfida si chiamava sacramentum (e dava nome alla procedura in esame).
Il magistrato investito della controversia poteva assegnare il possesso interinale sulla res oggetto del giudizio (c.d. vindìciæ) alla parte che a suo avviso vantasse una pretesa in apparenza fondata (c.d. fumus boni iuris [vedi]); la restituzione della res e dei frutti, in caso di soccombenza del possessore interinale (poco probabile, alla luce di quanto detto, ma sempre in teoria possibile) era garantita attraverso la nomina di garanti (c.d. prædes lìtis et vindiciàrum rispettivamente, per la res e per i frutti).
Successivamente, nominato il iudex, si passava alla fase àpud iùdicem, nella quale ciascuna parte produceva le prove che intendeva porre a sostegno della sua tesi, ed il giudice, dopo averle valutate, emetteva la sua sententia, con la quale, risolvendo il tema oggetto della controversia, proclamava quale dei sacramenta fosse iùstum e quale iniustum.
Poiché la summa sacramenti era promessa da tutte e due le parti, pur dovendo essere pagata solo da chi perdeva la causa, si richiedeva che ognuna presentasse dei garanti per il futuro eventuale pagamento (i prædes sacramenti che prestavano garanzia davanti al magistrato); la somma era poi devoluta ad una cassa pubblica.
• Legis actio sacramenti in persònam
Assai simile alla legis actio sacramenti in rem era la (—).
Il creditore e il debitore convenivano in iure: dinanzi al magistrato il creditore, rivolgendosi al debitore, affermava il proprio diritto e l’esistenza di un credito verso il convenuto.
Il convenuto poteva tacere, nel qual caso risultava definitivamente accertato il suo debito, o contestare il diritto azionato: in questo caso il creditore lo provocava al sacramentum.
A differenza della legis actio sacramenti in rem, in cui le parti affermavano per sé lo stesso diritto, nella (—) una parte affermava il credito e l’altra lo negava. Inoltre mancava la fase di attribuzione del possesso interinale, non essendoci una res oggetto della controversia.
La sfida al sacramentum, peraltro, permaneva e di conseguenza era necessaria sempre l’indicazione dei prædes sacramenti.
La (—) aveva origini molto antiche, e poteva essere esercitata a difesa di ogni diritto per il quale non fosse specificatamente prevista una procedura diversa: era cioè un’actio generalis. Come è possibile desumere dalla descrizione gaiana, contenuta nelle Institutiones, essa consisteva in una sorta di scommessa fatta dalle parti in lite. Fissati, infatti, i termini della controversia, ciascuna delle parti faceva una promessa solenne (detta appunto sacramèntum), di pagare in favore dell’erario una determinata somma in caso di soccombenza; toccava poi ad un iùdex, nominato dal magistrato dinanzi a cui si svolgeva la fase in iure, stabilire quale delle parti avesse ragione e quale avesse, invece, dolosamente promesso la somma.
Si distinguevano una (—) in rem (con la quale si faceva valere un diritto reale su una cosa, costituendo oggetto del contendere la titolarità di un diritto su una res) ed una (—) in personam (nella quale oggetto del contendere era l’esistenza o meno, a carico del convenuto, di una obbligazione).
• Legis actio sacramenti in rem
Della (—) Gaio [vedi] ci ha offerto una descrizione sufficientemente completa.
Attore e convenuto comparivano dinanzi al magistrato portando la cosa controversa o una parte simbolica di essa, se si trattava di cosa non trasportabile. L’attore, tenendo in mano una verga (festùca), toccava la cosa e pronunciava la frase “hunc ego hòminem ex iùre Quirìtium meum esse aio secundum suam causam. Sicut dixi, ecce tibi vindìcta impòsui” (affermo solennemente che questo schiavo mi appartiene per diritto quiritario, in conformità alla sua destinazione. Ecco, così come ho dichiarato, ti impongo la mia vindicta); contestualmente toccava la cosa con la festuca, operando la vindicàtio.
Come spiega Gaio, poiché la festuca rappresentava la lancia di guerra, questo atto simboleggiava l’occupazione bellica e, quindi, nel toccare la cosa con la festuca, l’attore manifestava simbolicamente il suo diritto di piena proprietà sulla cosa: in epoca più antica, infatti, il diritto tipico di proprietà era quello sulle cose prese al nemico.
A questo punto due erano le possibilità.
Se il convenuto non compiva alcuna dichiarazione contraria, la cosa restava definitivamente in proprietà dell’attore (a questa forma, si ricorse molto spesso per trasmettere i beni oggetto di compravendita).
Se, invece, il convenuto compiva la stessa dichiarazione ed eseguiva gli stessi atti compiuti già dall’attore, operando la vindicatio contraria, sorgeva la controversia vera e propria.
In questo caso il magistrato intimava ad entrambe le parti di abbandonare la cosa contesa (c.d. lis, pronunciando la frase: “mìttite ambo rem”); a ciò seguiva la reciproca scommessa — la somma oggetto della sfida si chiamava sacramentum (e dava nome alla procedura in esame).
Il magistrato investito della controversia poteva assegnare il possesso interinale sulla res oggetto del giudizio (c.d. vindìciæ) alla parte che a suo avviso vantasse una pretesa in apparenza fondata (c.d. fumus boni iuris [vedi]); la restituzione della res e dei frutti, in caso di soccombenza del possessore interinale (poco probabile, alla luce di quanto detto, ma sempre in teoria possibile) era garantita attraverso la nomina di garanti (c.d. prædes lìtis et vindiciàrum rispettivamente, per la res e per i frutti).
Successivamente, nominato il iudex, si passava alla fase àpud iùdicem, nella quale ciascuna parte produceva le prove che intendeva porre a sostegno della sua tesi, ed il giudice, dopo averle valutate, emetteva la sua sententia, con la quale, risolvendo il tema oggetto della controversia, proclamava quale dei sacramenta fosse iùstum e quale iniustum.
Poiché la summa sacramenti era promessa da tutte e due le parti, pur dovendo essere pagata solo da chi perdeva la causa, si richiedeva che ognuna presentasse dei garanti per il futuro eventuale pagamento (i prædes sacramenti che prestavano garanzia davanti al magistrato); la somma era poi devoluta ad una cassa pubblica.
• Legis actio sacramenti in persònam
Assai simile alla legis actio sacramenti in rem era la (—).
Il creditore e il debitore convenivano in iure: dinanzi al magistrato il creditore, rivolgendosi al debitore, affermava il proprio diritto e l’esistenza di un credito verso il convenuto.
Il convenuto poteva tacere, nel qual caso risultava definitivamente accertato il suo debito, o contestare il diritto azionato: in questo caso il creditore lo provocava al sacramentum.
A differenza della legis actio sacramenti in rem, in cui le parti affermavano per sé lo stesso diritto, nella (—) una parte affermava il credito e l’altra lo negava. Inoltre mancava la fase di attribuzione del possesso interinale, non essendoci una res oggetto della controversia.
La sfida al sacramentum, peraltro, permaneva e di conseguenza era necessaria sempre l’indicazione dei prædes sacramenti.