Lègis àctio per mànus iniectiònem
Lègis àctio per mànus iniectiònem
La manus iniectio fu la più antica delle legis actiones e costituì il primo esempio di azione esecutiva generale. Suo presupposto era il mancato pagamento da parte del convenuto di una somma di danaro, a cui era tenuto per una causa certa ed indiscutibile. Il caso tipico fu quello relativo alle somme dovute a seguito di accertamento giudiziale (“manus iniectio iudicati”); a questa ipotesi furono in seguito equiparati altri casi di crediti ben accertati, ad es. crediti basati su una confessio in iure, per i quali si parlò di “manus iniectio pro iudicato”.
Il creditore, trascorsi 30 giorni (dìes iusti) dalla sentenza che aveva riconosciuto il suo diritto, conduceva, anche con la forza, nuovamente in ius il debitore insolvente e dinanzi al magistrato lo afferrava pronunciando la frase: “quod tu mihi iudicàtus es sestèrtium decem mila, quando non solvìsti, ob eam rem ego tibi sestertium decem mila iudicati manum inìcio” (poiché sei stato condannato a pagarmi diecimila sesterzi e non l’hai fatto, io compio su di te la manus iniectio per diecimila sesterzi).
Il condannato non poteva respingere la manus iniectio, ma solo offrire un vìndex [vedi] per contestare le ragioni del creditore. Se però il vindex risultava sconfitto, il debitore era condannato al pagamento del doppio del dovuto.
Se non era presentato il vindex, il magistrato confermava la dichiarazione del creditore mediante l’addìctio. Il creditore aveva diritto di condurre il debitore presso la sua abitazione e di tenerlo legato per 60 giorni, durante i quali doveva presentarlo in pubblico in tre mercati consecutivi per venderlo, dichiarando l’esistenza del debito e il suo ammontare.
Trascorsi i 60 giorni senza alcun esito positivo, il debitore poteva essere ucciso o venduto fuori del territorio romano (trans Tìberim) e, se vi erano più creditori, in base alle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum], poteva essere ucciso: il suo corpo diviso tra gli stessi creditori.
Col tempo la manus iniectio andò sempre più trasformandosi da processo esecutivo in processo dichiarativo: al debitore fu concessa la possibilità di respingere la manus iniectio e di iniziare un giudizio per accertarne la legittimità (depèllere manum et pro se lege àgere: c.d. manus iniectio pura). Una lex Vallia [vedi lex Vallia de manus iniectione], di epoca imprecisata, fece della manus iniectio pura la regola, lasciando sopravvivere la vecchia procedura per il solo caso di esecuzione del giudicato.
La manus iniectio fu la più antica delle legis actiones e costituì il primo esempio di azione esecutiva generale. Suo presupposto era il mancato pagamento da parte del convenuto di una somma di danaro, a cui era tenuto per una causa certa ed indiscutibile. Il caso tipico fu quello relativo alle somme dovute a seguito di accertamento giudiziale (“manus iniectio iudicati”); a questa ipotesi furono in seguito equiparati altri casi di crediti ben accertati, ad es. crediti basati su una confessio in iure, per i quali si parlò di “manus iniectio pro iudicato”.
Il creditore, trascorsi 30 giorni (dìes iusti) dalla sentenza che aveva riconosciuto il suo diritto, conduceva, anche con la forza, nuovamente in ius il debitore insolvente e dinanzi al magistrato lo afferrava pronunciando la frase: “quod tu mihi iudicàtus es sestèrtium decem mila, quando non solvìsti, ob eam rem ego tibi sestertium decem mila iudicati manum inìcio” (poiché sei stato condannato a pagarmi diecimila sesterzi e non l’hai fatto, io compio su di te la manus iniectio per diecimila sesterzi).
Il condannato non poteva respingere la manus iniectio, ma solo offrire un vìndex [vedi] per contestare le ragioni del creditore. Se però il vindex risultava sconfitto, il debitore era condannato al pagamento del doppio del dovuto.
Se non era presentato il vindex, il magistrato confermava la dichiarazione del creditore mediante l’addìctio. Il creditore aveva diritto di condurre il debitore presso la sua abitazione e di tenerlo legato per 60 giorni, durante i quali doveva presentarlo in pubblico in tre mercati consecutivi per venderlo, dichiarando l’esistenza del debito e il suo ammontare.
Trascorsi i 60 giorni senza alcun esito positivo, il debitore poteva essere ucciso o venduto fuori del territorio romano (trans Tìberim) e, se vi erano più creditori, in base alle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum], poteva essere ucciso: il suo corpo diviso tra gli stessi creditori.
Col tempo la manus iniectio andò sempre più trasformandosi da processo esecutivo in processo dichiarativo: al debitore fu concessa la possibilità di respingere la manus iniectio e di iniziare un giudizio per accertarne la legittimità (depèllere manum et pro se lege àgere: c.d. manus iniectio pura). Una lex Vallia [vedi lex Vallia de manus iniectione], di epoca imprecisata, fece della manus iniectio pura la regola, lasciando sopravvivere la vecchia procedura per il solo caso di esecuzione del giudicato.