Legis actio per iùdicis arbitrìve postulatiònem
Legis actio per iùdicis arbitrìve postulatiònem
La (—) costituì una semplificazione della legis actio per sacramèntum [vedi]. Essa fu introdotta dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum] ed aveva un campo di applicazione ben delineato, risultando esperibile dapprima per l’accertamento dei crediti derivanti da spònsio [vedi] e successivamente nei giudizi divisori [vedi àctio familiæ erciscùndæ, actio commùni dividùndo, actio fìnium regundòrum].
Presenti in iùre le parti, l’attore affermava la propria pretesa e, nel caso di contestazione del convenuto, si rivolgeva tanto a lui che al pretore chiedendo a questi di nominare un iudex che decidesse la controversia. La formula adoperata era: “quando tu negas, te, prætor, iudicem pòstulo uti des”.
La procedura si caratterizzava per il fatto che, eliminata la sfida al sacramentum, l’attore, dopo aver ribadito la sua domanda, e dopo aver ricevuto il diniego del convenuto, chiedeva immediatamente la nomina dell’iùdex o dell’àrbiter che avrebbe deciso la questione.
Una successiva lex Licìnia estese l’applicabilità della legis actio alla divisione di cose singole, chiesta dai condomini (actio communi dividundo [vedi]), mentre la prassi la consentì anche per l’actio finium regundorum [vedi].
In queste ultime due ipotesi, il giudice aveva poteri più ampi di quelli solitamente riconosciutigli, e perciò era chiamato arbiter: la legis actio fu, così, denominata (—).
La (—) costituì una semplificazione della legis actio per sacramèntum [vedi]. Essa fu introdotta dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum] ed aveva un campo di applicazione ben delineato, risultando esperibile dapprima per l’accertamento dei crediti derivanti da spònsio [vedi] e successivamente nei giudizi divisori [vedi àctio familiæ erciscùndæ, actio commùni dividùndo, actio fìnium regundòrum].
Presenti in iùre le parti, l’attore affermava la propria pretesa e, nel caso di contestazione del convenuto, si rivolgeva tanto a lui che al pretore chiedendo a questi di nominare un iudex che decidesse la controversia. La formula adoperata era: “quando tu negas, te, prætor, iudicem pòstulo uti des”.
La procedura si caratterizzava per il fatto che, eliminata la sfida al sacramentum, l’attore, dopo aver ribadito la sua domanda, e dopo aver ricevuto il diniego del convenuto, chiedeva immediatamente la nomina dell’iùdex o dell’àrbiter che avrebbe deciso la questione.
Una successiva lex Licìnia estese l’applicabilità della legis actio alla divisione di cose singole, chiesta dai condomini (actio communi dividundo [vedi]), mentre la prassi la consentì anche per l’actio finium regundorum [vedi].
In queste ultime due ipotesi, il giudice aveva poteri più ampi di quelli solitamente riconosciutigli, e perciò era chiamato arbiter: la legis actio fu, così, denominata (—).