Legge delle citazioni

Legge delle citazioni

Viene così usualmente denominata una costituzione imperiale emanata nel 426 d.C. da Valentiniano III, con la quale si dettarono i criteri interpretativi cui giudici, giuristi e privati dovevano attenersi:
— l’efficacia di legge attribuita alle opere delle epoche precedenti fu limitata agli scritti di Papiniano [vedi], Paolo [vedi], Gaio [vedi], Ulpiano [vedi] e Modestino [vedi];
— nel caso che tra i cinque giuristi ci fossero disparità di opinioni, prevaleva la tesi sostenuta dalla maggioranza;
— in caso di parità tra le opinioni in contrasto, prevaleva quella di Papiniano;
— risultando inapplicabili i precedenti due criteri, il giudice (se Papiniano non aveva avuto modo di pronunciarsi sul caso in esame) era libero di seguire il parere di quello tra i rimanenti giuristi che più gli sembrasse convincente.
La (—) fu inserita nel 438 d.C. da Teodosio nel Codex Theodosiànus [vedi], con una modifica: si dette efficacia di legge anche ai pareri dei giuristi citati da quei cinque; dei giuristi citati dovevano, però, aversi a disposizione opere con opinioni non contraddittorie.
Si è acutamente osservato in dottrina che la (—) è testimonianza decisiva della decadenza, in periodo postclassico, della giurisprudenza nella parte occidentale dell’Impero.