Iusta sèrvitus
Iusta sèrvitus [Giusta servitù]
Veniva così definita la situazione del cittadino romano cui veniva sottratto lo status libertàtis [vedi status]; ciò si verificava:
— nel caso del debitore venduto dal creditore trans Tìberim (oltre il Tevere) per non aver pagato il debito, né aver presentato garanti a seguito della mànus inièctio [vedi];
— nel caso del cittadino che non avesse provveduto a farsi iscrivere nelle liste del censo (incènsus) e fosse stato egualmente venduto trans Tiberim; lo stesso avveniva per chi si era sottratto volontariamente alla leva militare (ìnfrequens);
— nel caso del cittadino che, per aver violato il iùs gèntium [vedi], fosse stato consegnato al popolo straniero offeso (c.d. nòxæ dedìctio [vedi]).
Tali cause vennero lentamente a cadere in disuso e ad esse se ne sostituirono altre; si pensi, ad es.:
— al caso in cui il pretore negava la petìtio ex servitùte in libertàtem (azione diretta a far accertare lo stato di libertà di un individuo contro chi ne affermava invece lo stato servile) all’uomo libero maggiore di 20 anni che si fosse fatto vendere come schiavo per dividere il guadagno con chi lo aveva venduto;
— al caso della donna libera che avesse una relazione con uno schiavo e non l’avesse interrotta dopo tre normali diffide da parte del padrone; in tal caso la donna diveniva schiava dello stesso padrone (tale regola fu sancita da un senatusconsùltum Claudiànum del 52 d.C. [vedi]);
— al caso del deditìcius Æliànus [vedi dediticii] che fosse rientrato in Roma o dimorasse entro il raggio di 100 miglia da Roma contro il divieto della lex Ælia Sentia [vedi];
— al caso di chi, per aver riportato una condanna ai summa supplicia [vedi summum supplìcium] (croce, ludi gladiatori, etc.), in epoca augustea fosse considerato schiavo dell’imperatore. In tale epoca era, altresì, considerato schiavo il figlio venduto dal pater familias [vedi] (in epoca anteriore, invece, egli si considerava in causa mancìpii).
Il patrimonio del cittadino caduto in (—) apparteneva al suo padrone; il patrimonio del cittadino in iniusta servitus rimaneva, invece, alla sua famiglia.
Veniva così definita la situazione del cittadino romano cui veniva sottratto lo status libertàtis [vedi status]; ciò si verificava:
— nel caso del debitore venduto dal creditore trans Tìberim (oltre il Tevere) per non aver pagato il debito, né aver presentato garanti a seguito della mànus inièctio [vedi];
— nel caso del cittadino che non avesse provveduto a farsi iscrivere nelle liste del censo (incènsus) e fosse stato egualmente venduto trans Tiberim; lo stesso avveniva per chi si era sottratto volontariamente alla leva militare (ìnfrequens);
— nel caso del cittadino che, per aver violato il iùs gèntium [vedi], fosse stato consegnato al popolo straniero offeso (c.d. nòxæ dedìctio [vedi]).
Tali cause vennero lentamente a cadere in disuso e ad esse se ne sostituirono altre; si pensi, ad es.:
— al caso in cui il pretore negava la petìtio ex servitùte in libertàtem (azione diretta a far accertare lo stato di libertà di un individuo contro chi ne affermava invece lo stato servile) all’uomo libero maggiore di 20 anni che si fosse fatto vendere come schiavo per dividere il guadagno con chi lo aveva venduto;
— al caso della donna libera che avesse una relazione con uno schiavo e non l’avesse interrotta dopo tre normali diffide da parte del padrone; in tal caso la donna diveniva schiava dello stesso padrone (tale regola fu sancita da un senatusconsùltum Claudiànum del 52 d.C. [vedi]);
— al caso del deditìcius Æliànus [vedi dediticii] che fosse rientrato in Roma o dimorasse entro il raggio di 100 miglia da Roma contro il divieto della lex Ælia Sentia [vedi];
— al caso di chi, per aver riportato una condanna ai summa supplicia [vedi summum supplìcium] (croce, ludi gladiatori, etc.), in epoca augustea fosse considerato schiavo dell’imperatore. In tale epoca era, altresì, considerato schiavo il figlio venduto dal pater familias [vedi] (in epoca anteriore, invece, egli si considerava in causa mancìpii).
Il patrimonio del cittadino caduto in (—) apparteneva al suo padrone; il patrimonio del cittadino in iniusta servitus rimaneva, invece, alla sua famiglia.