Ius pùblice respondèndi
Ius pùblice respondèndi [Diritto di dare pubblici responsi]
Il (—), secondo la trattazione che ne fa Pomponio [vedi], fu una facoltà concessa, fin dai tempi di Augusto, ai giuristi di maggior valore. Questi potevano fornire pareri particolarmente autorevoli, capaci di vincolare i giudici, e che, pertanto, venivano considerati fonti di diritto. In dottrina si è rilevato che Augusto, onde limitare il proliferare di respònsa giurisprudenziali, ritenne opportuno conferire ad alcuni giuristi, particolarmente meritevoli, una sorta di patente di buon giurista. In origine, i pareri dei giuristi cui era attribuito il (—) non erano vincolanti per il giudice, ma erano rivestiti di un’autorevolezza maggiore di quelli dei giuristi che ne erano sforniti (ciò comportava l’inutilità di produrre in giudizio i pareri di quest’ultimi).
Il (—) fu compiutamente disciplinato da Tiberio, che lo trasformò in un privilegio di concessione imperiale che attribuiva ai responsa dei giuristi che ne erano forniti carattere vincolante per i giudici.
La concessione del (—) ben presto fu riservata non ai giuristi più meritevoli, bensì a quelli più vicini agli orientamenti del prìnceps; attraverso essa, risultando vincolanti per i giudici i pareri dei giuristi che godevano di tale privilegio, il prìnceps finiva col controllare in modo penetrante l’amministrazione della giustizia, privando la magistratura di ogni autonomia.
L’istituto cadde col tempo in disuso, anche perché frequenti furono i casi in cui i pareri dei giuristi, egualmente autorevoli, risultavano contrastanti con i pareri dei giuristi a cui era stato concesso l’(—), con notevoli problemi per il giudice che non poteva, com’è ovvio, essere vincolato da entrambi.
L’ultimo dei giuristi insigniti del beneficio fu un tal Innocentius di cui non si sa nulla; è certo che Gaio [vedi] fu privo del (—).
Il (—), secondo la trattazione che ne fa Pomponio [vedi], fu una facoltà concessa, fin dai tempi di Augusto, ai giuristi di maggior valore. Questi potevano fornire pareri particolarmente autorevoli, capaci di vincolare i giudici, e che, pertanto, venivano considerati fonti di diritto. In dottrina si è rilevato che Augusto, onde limitare il proliferare di respònsa giurisprudenziali, ritenne opportuno conferire ad alcuni giuristi, particolarmente meritevoli, una sorta di patente di buon giurista. In origine, i pareri dei giuristi cui era attribuito il (—) non erano vincolanti per il giudice, ma erano rivestiti di un’autorevolezza maggiore di quelli dei giuristi che ne erano sforniti (ciò comportava l’inutilità di produrre in giudizio i pareri di quest’ultimi).
Il (—) fu compiutamente disciplinato da Tiberio, che lo trasformò in un privilegio di concessione imperiale che attribuiva ai responsa dei giuristi che ne erano forniti carattere vincolante per i giudici.
La concessione del (—) ben presto fu riservata non ai giuristi più meritevoli, bensì a quelli più vicini agli orientamenti del prìnceps; attraverso essa, risultando vincolanti per i giudici i pareri dei giuristi che godevano di tale privilegio, il prìnceps finiva col controllare in modo penetrante l’amministrazione della giustizia, privando la magistratura di ogni autonomia.
L’istituto cadde col tempo in disuso, anche perché frequenti furono i casi in cui i pareri dei giuristi, egualmente autorevoli, risultavano contrastanti con i pareri dei giuristi a cui era stato concesso l’(—), con notevoli problemi per il giudice che non poteva, com’è ovvio, essere vincolato da entrambi.
L’ultimo dei giuristi insigniti del beneficio fu un tal Innocentius di cui non si sa nulla; è certo che Gaio [vedi] fu privo del (—).