Inutilità del negozio giuridico
Inutilità del negozio giuridico
Il diritto romano non pervenne mai ad una concezione matura e chiara del negozio giuridico come categoria astratta: di conseguenza mancò la consapevolezza dell’esistenza di concetti ad esso inerenti come la validità e l’efficacia. Il criterio da essi richiamato fu quello dell’utilità (e della connessa inutilità) giuridica dell’atto: premessa la rilevanza di ogni azione umana che si esteriorizzasse in un negozio giuridico, se questo serviva effettivamente a produrre effetti giuridici, era efficace, pur se invalido, e veniva qualificato utile; se il negozio giuridico era inefficace, veniva qualificato inutile.
Tre furono principalmente le cause di inutilità dei negozi giuridici:
— la violazione di regole dettate dal diritto quiritario [vedi iùs Quirìtium], o da leges publicæ, senatusconsùlta [vedi] o constitutiònes prìncipum [vedi];
— la richiesta alla magistratura, da parte di chi aveva interesse, di un provvedimento che sancisse l’inutilizzabilità giuridica del negozio (si faceva, a tal fine, ricorso agli istituti della denegàtio actiònis [vedi], excèptio [vedi] e restitùtio in ìntegrum [vedi]);
— l’accertamento in giudizio della mancanza degli elementi necessari a rendere il negozio utile ai fini della produzione di effetti giuridici (quest’ultima causa fu tipica della cognìtio extra òrdinem [vedi] postclassica).
L’inutilità poteva essere:
— iniziale o sopravvenuta;
— totale o parziale;
— temporanea o perpetua.
Una delle più rilevanti applicazioni del principio di conservazione del negozio giuridico [vedi sanatoria] fu dato dal senatusconsultum Neroniànum [vedi] (risalente al I sec. d.C.) che, in applicazione del principio utile per inutile non vitiàtur [vedi], stabilì che se un legàtum per vindicatiònem [vedi] non potesse valere come tale (ad es. perché il testatore aveva legato una cosa altrui), esso valesse almeno come legatum per damnatiònem [vedi] (quindi, nell’esempio citato, l’erede doveva procurarsi la cosa per trasferirne la proprietà al legatario).
Il diritto romano non pervenne mai ad una concezione matura e chiara del negozio giuridico come categoria astratta: di conseguenza mancò la consapevolezza dell’esistenza di concetti ad esso inerenti come la validità e l’efficacia. Il criterio da essi richiamato fu quello dell’utilità (e della connessa inutilità) giuridica dell’atto: premessa la rilevanza di ogni azione umana che si esteriorizzasse in un negozio giuridico, se questo serviva effettivamente a produrre effetti giuridici, era efficace, pur se invalido, e veniva qualificato utile; se il negozio giuridico era inefficace, veniva qualificato inutile.
Tre furono principalmente le cause di inutilità dei negozi giuridici:
— la violazione di regole dettate dal diritto quiritario [vedi iùs Quirìtium], o da leges publicæ, senatusconsùlta [vedi] o constitutiònes prìncipum [vedi];
— la richiesta alla magistratura, da parte di chi aveva interesse, di un provvedimento che sancisse l’inutilizzabilità giuridica del negozio (si faceva, a tal fine, ricorso agli istituti della denegàtio actiònis [vedi], excèptio [vedi] e restitùtio in ìntegrum [vedi]);
— l’accertamento in giudizio della mancanza degli elementi necessari a rendere il negozio utile ai fini della produzione di effetti giuridici (quest’ultima causa fu tipica della cognìtio extra òrdinem [vedi] postclassica).
L’inutilità poteva essere:
— iniziale o sopravvenuta;
— totale o parziale;
— temporanea o perpetua.
Una delle più rilevanti applicazioni del principio di conservazione del negozio giuridico [vedi sanatoria] fu dato dal senatusconsultum Neroniànum [vedi] (risalente al I sec. d.C.) che, in applicazione del principio utile per inutile non vitiàtur [vedi], stabilì che se un legàtum per vindicatiònem [vedi] non potesse valere come tale (ad es. perché il testatore aveva legato una cosa altrui), esso valesse almeno come legatum per damnatiònem [vedi] (quindi, nell’esempio citato, l’erede doveva procurarsi la cosa per trasferirne la proprietà al legatario).