Interdìctio aqua et igni
Interdìctio aqua et igni
Una delle pene previste dal diritto penale romano e, nella Roma delle origini (in cui i delitti erano perseguiti in sede civile), dalla legge delle XII tavole [vedi lex XII Tabulàrum], come conseguenza di delitti particolarmente gravi.
Consisteva nell’allontanamento coatto e definitivo dal territorio romano: coloro che subivano l’(—), pertanto, non potevano più rientrare in patria: se varcavano i confini di Roma, non solo non riacquistavano la soggettività giuridica, ma potevano essere impunemente aggrediti da qualsiasi cittadino, mentre in periodo classico subivano le pena pubblica della deportatio in insulam [vedi].
Nelle epoche storiche, in cui la repressione degli illeciti penali avvenne prima in sede comiziale [vedi processo comiziale], poi in sede extra òrdinem [vedi cognìtio extra ordinem], l’(—) fu considerata a pieno titolo pena capitale, in quanto incidente sul càput (comportava, infatti, una capitis deminutio [vedi] media, cioè la perdita della condizione di cittadino romano).
In particolare l’(—) fu considerata come pena capitale ordinaria, specificatamente prevista per legge per numerose fattispecie delittuose: ad essa si accompagnava normalmente, come pena accessoria, la confisca dei beni [vedi publicàtio bonòrum].
La connessione dell’(—) con la pena di morte è evidenziata dal fatto che, per taluni delitti, al condannato era attribuito un particolare beneficio, detto iùs exìlii [vedi], consistente nella facoltà di sottrarsi all’esecuzione della pena di morte, sottoponendosi volontariamente all’(—). In correlazione con tale facoltà, sta la distinzione terminologica (talora riscontrabile nelle fonti), tra:
— (—) in senso stretto (esilio coatto);
— exilìum (esilio volontario, accettato nell’esercizio del ius exilii [vedi]).
Una delle pene previste dal diritto penale romano e, nella Roma delle origini (in cui i delitti erano perseguiti in sede civile), dalla legge delle XII tavole [vedi lex XII Tabulàrum], come conseguenza di delitti particolarmente gravi.
Consisteva nell’allontanamento coatto e definitivo dal territorio romano: coloro che subivano l’(—), pertanto, non potevano più rientrare in patria: se varcavano i confini di Roma, non solo non riacquistavano la soggettività giuridica, ma potevano essere impunemente aggrediti da qualsiasi cittadino, mentre in periodo classico subivano le pena pubblica della deportatio in insulam [vedi].
Nelle epoche storiche, in cui la repressione degli illeciti penali avvenne prima in sede comiziale [vedi processo comiziale], poi in sede extra òrdinem [vedi cognìtio extra ordinem], l’(—) fu considerata a pieno titolo pena capitale, in quanto incidente sul càput (comportava, infatti, una capitis deminutio [vedi] media, cioè la perdita della condizione di cittadino romano).
In particolare l’(—) fu considerata come pena capitale ordinaria, specificatamente prevista per legge per numerose fattispecie delittuose: ad essa si accompagnava normalmente, come pena accessoria, la confisca dei beni [vedi publicàtio bonòrum].
La connessione dell’(—) con la pena di morte è evidenziata dal fatto che, per taluni delitti, al condannato era attribuito un particolare beneficio, detto iùs exìlii [vedi], consistente nella facoltà di sottrarsi all’esecuzione della pena di morte, sottoponendosi volontariamente all’(—). In correlazione con tale facoltà, sta la distinzione terminologica (talora riscontrabile nelle fonti), tra:
— (—) in senso stretto (esilio coatto);
— exilìum (esilio volontario, accettato nell’esercizio del ius exilii [vedi]).