Iniùria
Iniùria
L’(—) è qualsiasi azione in contrasto col diritto.
In epoca arcaica qualsiasi lesione od offesa arrecata ad un gruppo familiare determinava la violenta reazione del gruppo stesso; l’esigenza di ripristinare l’equilibrio nei rapporti sociali era limitata unicamente dal principio, morale e religioso, della proporzionalità tra azione difensiva e offesa (tàlio [vedi]).
Solo in seguito, la legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum], nel disciplinare il delitto di (—) arginò la reazione privata.
La legge delle XII Tavole disciplinò, in particolare, tre casi di (—):
— il mèmbrum rùptum, che consisteva nell’inutilizzazione o nell’amputazione di un arto o di un organo; per esso era comminato il taglione se non si raggiungeva un accordo amichevole;
— l’os fractum, che consisteva nella rottura di un osso; per esso era previsto il pagamento di una somma di danaro, che era di 300 assi se offeso era un uomo libero e 150 se era uno schiavo;
— le iniuriæ pure e semplici, consistenti in qualsiasi altra lesione di minore portata, per le quali era previsto il pagamento di 25 assi.
In seguito, tale disciplina si rivelò inadeguata soprattutto perché l’ammontare della pena era fisso a fronte delle diverse offese realizzabili in concreto e l’entità della stessa era ormai divenuta irrisoria.
Il pretore unificò le tre figure e concesse un’àctio iniuriàrum, infamante [vedi infamia] ed æstimatòria [vedi àctio quanti minòris], che consentiva al giudice di fissare l’ammontare della condanna secondo “quàntum aèquum et bònum sibi vidèbitur”, cioè secondo equità.
È opportuno precisare che col nome di actio iniuriarum erano definite tutte le azioni pretorie accordate nei vari casi di iniuria. La determinazione della pena era lasciata al prudente apprezzamento del giudice. Se l’(—) era particolarmente grave (àtrox), la parte lesa poteva far inserire una taxàtio [vedi] nella formula [vedi] o chiedere una condanna elevata.
L’editto pretorio inizialmente conteneva un edìctum generale sull’(—), concernente le lesioni personali; successivamente furono puniti il convìcium [vedi] (vociferazione oltraggiosa) e l’adtemptàta pudicitia [vedi] (oltraggio al pudore di donne o di giovani). Infine, l’editto sanzionò ogni atto che risultasse infamante per un’altra persona.
A seguito dell’opinione di Labeone [vedi], la giurisprudenza classica ricomprese nell’(—) ogni offesa all’onore e al decoro di un soggetto giuridico, che divennero in seguito le ipotesi principali della fattispecie.
Successivamente il concetto fu ulteriormente ampliato e vi si fecero rientrare tutti gli atti contro la personalità umana, compreso il sequestro di persona.
In concorrenza con la persecuzione privata, sin da una lex Cornelia di Silla, fu introdotta una parallela persecuzione pubblica delle iniuriæ, nei casi di pulsàtio (percosse), verberàtio (fustigazione) e nel caso di domum introìre (violazione di domicilio).
La persecuzione pubblica divenne prevalente in età postclassica. In diritto giustinianeo ancora era libera la scelta tra i due tipi di persecuzione.
L’(—) è qualsiasi azione in contrasto col diritto.
In epoca arcaica qualsiasi lesione od offesa arrecata ad un gruppo familiare determinava la violenta reazione del gruppo stesso; l’esigenza di ripristinare l’equilibrio nei rapporti sociali era limitata unicamente dal principio, morale e religioso, della proporzionalità tra azione difensiva e offesa (tàlio [vedi]).
Solo in seguito, la legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum], nel disciplinare il delitto di (—) arginò la reazione privata.
La legge delle XII Tavole disciplinò, in particolare, tre casi di (—):
— il mèmbrum rùptum, che consisteva nell’inutilizzazione o nell’amputazione di un arto o di un organo; per esso era comminato il taglione se non si raggiungeva un accordo amichevole;
— l’os fractum, che consisteva nella rottura di un osso; per esso era previsto il pagamento di una somma di danaro, che era di 300 assi se offeso era un uomo libero e 150 se era uno schiavo;
— le iniuriæ pure e semplici, consistenti in qualsiasi altra lesione di minore portata, per le quali era previsto il pagamento di 25 assi.
In seguito, tale disciplina si rivelò inadeguata soprattutto perché l’ammontare della pena era fisso a fronte delle diverse offese realizzabili in concreto e l’entità della stessa era ormai divenuta irrisoria.
Il pretore unificò le tre figure e concesse un’àctio iniuriàrum, infamante [vedi infamia] ed æstimatòria [vedi àctio quanti minòris], che consentiva al giudice di fissare l’ammontare della condanna secondo “quàntum aèquum et bònum sibi vidèbitur”, cioè secondo equità.
È opportuno precisare che col nome di actio iniuriarum erano definite tutte le azioni pretorie accordate nei vari casi di iniuria. La determinazione della pena era lasciata al prudente apprezzamento del giudice. Se l’(—) era particolarmente grave (àtrox), la parte lesa poteva far inserire una taxàtio [vedi] nella formula [vedi] o chiedere una condanna elevata.
L’editto pretorio inizialmente conteneva un edìctum generale sull’(—), concernente le lesioni personali; successivamente furono puniti il convìcium [vedi] (vociferazione oltraggiosa) e l’adtemptàta pudicitia [vedi] (oltraggio al pudore di donne o di giovani). Infine, l’editto sanzionò ogni atto che risultasse infamante per un’altra persona.
A seguito dell’opinione di Labeone [vedi], la giurisprudenza classica ricomprese nell’(—) ogni offesa all’onore e al decoro di un soggetto giuridico, che divennero in seguito le ipotesi principali della fattispecie.
Successivamente il concetto fu ulteriormente ampliato e vi si fecero rientrare tutti gli atti contro la personalità umana, compreso il sequestro di persona.
In concorrenza con la persecuzione privata, sin da una lex Cornelia di Silla, fu introdotta una parallela persecuzione pubblica delle iniuriæ, nei casi di pulsàtio (percosse), verberàtio (fustigazione) e nel caso di domum introìre (violazione di domicilio).
La persecuzione pubblica divenne prevalente in età postclassica. In diritto giustinianeo ancora era libera la scelta tra i due tipi di persecuzione.