In iùre cèssio
In iùre cèssio
Negozio traslativo del dominium ex iure Quiritium [vedi], applicabile sia alle res mancipi [vedi] che alle res nec mancipi: si poneva in essere utilizzando i principi e le forme della rei vindicàtio [vedi]. In particolare l’acquirente e l’alienante fingevano di voler instaurare una lite sulla proprietà della cosa mediante la lègis àctio sacramènti in rem [vedi], comparendo davanti al magistrato con la cosa o con una parte che la rappresentasse.
L’acquirente pronunciava la formula àio hanc rem meam esse ex iùre Quirìtium (dico solennemente che questa cosa è mia) e toccava la cosa con la festuca (bacchetta), simbolo del domìnium. L’alienante, che in un normale giudizio di rèi vindicàtio [vedi] doveva pronunciare la stessa formula, taceva, concretando una confèssio in iure [vedi]; il magistrato dava causa vinta al rivendicante, che in tal modo acquistava la proprietà.
La (—) divenne una figura suscettibile di tante applicazioni quante furono le actiònes in rem. Nel diritto postclassico l’istituto scomparve, dal momento che l’introduzione di nuove figure processuali fece dimenticare le legis actiones, e che la tradìtio [vedi] fu considerata idonea a trasferire qualsiasi cosa corporale.
È bene tener presente che nella pratica, si usava ricorrere alla (—) quando il ricorso alla mancipàtio [vedi] risultava difficoltoso per la natura del diritto trasmesso: ad esempio, quando si trasferiva una quota di condominio o la nuda proprietà di una cosa sottoposta ad altrui usufrutto. Fu poco usata in età classica per le res mancipi, per evitare l’incomodo di doversi recare davanti al magistrato, come ci ricorda Gaio [vedi].
Per le principali applicazioni pratiche dell’istituto [vedi in iure cessio hereditàtis; in iure cessio servitùtis; in iure cessio tutèlæ; in iure cessio ususfrùctus].
Negozio traslativo del dominium ex iure Quiritium [vedi], applicabile sia alle res mancipi [vedi] che alle res nec mancipi: si poneva in essere utilizzando i principi e le forme della rei vindicàtio [vedi]. In particolare l’acquirente e l’alienante fingevano di voler instaurare una lite sulla proprietà della cosa mediante la lègis àctio sacramènti in rem [vedi], comparendo davanti al magistrato con la cosa o con una parte che la rappresentasse.
L’acquirente pronunciava la formula àio hanc rem meam esse ex iùre Quirìtium (dico solennemente che questa cosa è mia) e toccava la cosa con la festuca (bacchetta), simbolo del domìnium. L’alienante, che in un normale giudizio di rèi vindicàtio [vedi] doveva pronunciare la stessa formula, taceva, concretando una confèssio in iure [vedi]; il magistrato dava causa vinta al rivendicante, che in tal modo acquistava la proprietà.
La (—) divenne una figura suscettibile di tante applicazioni quante furono le actiònes in rem. Nel diritto postclassico l’istituto scomparve, dal momento che l’introduzione di nuove figure processuali fece dimenticare le legis actiones, e che la tradìtio [vedi] fu considerata idonea a trasferire qualsiasi cosa corporale.
È bene tener presente che nella pratica, si usava ricorrere alla (—) quando il ricorso alla mancipàtio [vedi] risultava difficoltoso per la natura del diritto trasmesso: ad esempio, quando si trasferiva una quota di condominio o la nuda proprietà di una cosa sottoposta ad altrui usufrutto. Fu poco usata in età classica per le res mancipi, per evitare l’incomodo di doversi recare davanti al magistrato, come ci ricorda Gaio [vedi].
Per le principali applicazioni pratiche dell’istituto [vedi in iure cessio hereditàtis; in iure cessio servitùtis; in iure cessio tutèlæ; in iure cessio ususfrùctus].