Hereditàtis petìtio
Hereditàtis petìtio [Petizione di eredità; cfr. artt. 533 ss. c.c.]
L’(—), o azione di rivendicazione dell’eredità, era un azione spettante all’heres [vedi] contro chiunque pregiudicasse i diritti da lui acquisiti in seguito alla “successio”. Essa ha conosciuto nel diritto romano un’evoluzione articolata in molteplici stadi:
— in epoca arcaica, essa si atteggiava a vindicatio [vedi rèi vindicàtio] di una cosa collettiva, non dissimilmente da quanto avveniva per la vindicatio di un gregge.
Si trattava quindi di un’azione a carattere universale (denominata anche àctio de universitàte), esperita in conformità ai tradizionali stilemi della legis actio [vedi] sacramènti in rem;
— in un secondo momento a tale procedura si sostituì un processo per sponsiònem [vedi spònsio], basato sull’impegno, solennemente assunto dal possessore, di versare una modesta somma di denaro al rivendicante nel caso che questi riuscisse a dimostrare la sua qualità di erede. La conseguente decisione giudiziale pur avendo, dal punto di vista formale, ad oggetto la somma di denaro promessa, in realtà riguardava l’eredità;
— all inizio dell’età imperiale si ammise l’esperibilità della (—) mediante processo formulare [vedi processo per formula].
Nel corso di questa evoluzione storica, l’(—) fu caratterizzata anche da profonde trasformazioni strutturali-funzionali. Fu consentito all’hères di agire nei confronti di chi possedeva pro herede (comportandosi come erede) o pro possessore (ossia senza alcun titolo di giustificazione). I confini dell’(—) furono dilatati fino a determinarne l’esperibilità nei confronti del debitore ereditario e di chi avesse esatto crediti dell’eredità.
Ulteriori modificazioni della struttura della (—) furono impresse nel 129 d.C. da un senatusconsùltum Iuventiànum, il quale stabilì, in caso di eredità rivendicata dall’æràrium [vedi] populi romani nei confronti di un privato, che la legittimazione passiva persisteva in capo a chi si fosse spogliato maliziosamente del possesso delle res hereditariæ prima della lite.
Si ammise pertanto il perdurare della responsabilità in capo al possessore in caso di perimento fortuito della cosa presso l’acquirente. Per questa via l’(—) perse l’iniziale connotazione di actio in rem [vedi].
Gli effetti dell’(—) erano differenti a seconda della condizione del possessore: mentre il possessore di mala fede rispondeva per l’intero, quello di buona fede era responsabile esclusivamente nei limiti di quanto pervenutogli e, se aveva alienato cose ereditarie, di ciò che aveva acquistato con il prezzo.
L’(—), o azione di rivendicazione dell’eredità, era un azione spettante all’heres [vedi] contro chiunque pregiudicasse i diritti da lui acquisiti in seguito alla “successio”. Essa ha conosciuto nel diritto romano un’evoluzione articolata in molteplici stadi:
— in epoca arcaica, essa si atteggiava a vindicatio [vedi rèi vindicàtio] di una cosa collettiva, non dissimilmente da quanto avveniva per la vindicatio di un gregge.
Si trattava quindi di un’azione a carattere universale (denominata anche àctio de universitàte), esperita in conformità ai tradizionali stilemi della legis actio [vedi] sacramènti in rem;
— in un secondo momento a tale procedura si sostituì un processo per sponsiònem [vedi spònsio], basato sull’impegno, solennemente assunto dal possessore, di versare una modesta somma di denaro al rivendicante nel caso che questi riuscisse a dimostrare la sua qualità di erede. La conseguente decisione giudiziale pur avendo, dal punto di vista formale, ad oggetto la somma di denaro promessa, in realtà riguardava l’eredità;
— all inizio dell’età imperiale si ammise l’esperibilità della (—) mediante processo formulare [vedi processo per formula].
Nel corso di questa evoluzione storica, l’(—) fu caratterizzata anche da profonde trasformazioni strutturali-funzionali. Fu consentito all’hères di agire nei confronti di chi possedeva pro herede (comportandosi come erede) o pro possessore (ossia senza alcun titolo di giustificazione). I confini dell’(—) furono dilatati fino a determinarne l’esperibilità nei confronti del debitore ereditario e di chi avesse esatto crediti dell’eredità.
Ulteriori modificazioni della struttura della (—) furono impresse nel 129 d.C. da un senatusconsùltum Iuventiànum, il quale stabilì, in caso di eredità rivendicata dall’æràrium [vedi] populi romani nei confronti di un privato, che la legittimazione passiva persisteva in capo a chi si fosse spogliato maliziosamente del possesso delle res hereditariæ prima della lite.
Si ammise pertanto il perdurare della responsabilità in capo al possessore in caso di perimento fortuito della cosa presso l’acquirente. Per questa via l’(—) perse l’iniziale connotazione di actio in rem [vedi].
Gli effetti dell’(—) erano differenti a seconda della condizione del possessore: mentre il possessore di mala fede rispondeva per l’intero, quello di buona fede era responsabile esclusivamente nei limiti di quanto pervenutogli e, se aveva alienato cose ereditarie, di ciò che aveva acquistato con il prezzo.