Herèditas iàcens
Herèditas iàcens [Eredità giacente; cfr. artt. 528 ss. c.c.]
L’(—) è il patrimonio successorio in attesa di essere accettato da un erede. Va distinto dall’eredità vacante, quella, cioè, rifiutata, o comunque non accettata da nessun erede (ed attribuita, pertanto, al fiscus Caesaris [vedi]).
In attesa di un’eventuale accettazione, l’(—) era suscettibile di incrementi (ad es. per la nascita dei figli degli schiavi, o per fruttificazione) e di diminuzioni (ad es., per la morte di schiavi o per la distruzione di beni).
Fino a tutto il periodo classico, l’(—) era considerata res nullìus [vedi], in quanto i rapporti facenti capo al defunto non appartenevano né al defunto stesso (la cui capacità si era estinta con la morte), né al futuro erede (che non aveva ancora accettato): chi se ne impadroniva non veniva considerato responsabile di furto. Ben presto emerse, tuttavia, la necessità di considerare, per limitati fini, l’(—) come soggetto giuridico:
— talvolta la giurisprudenza classica fingeva che la vita del de cùius [vedi] (considerato titolare dell’(—)) si protraesse fino all’accettazione;
— talaltra, faceva retroagire la futura accettazione, considerando titolare dell’(—) il futuro erede.
Gradualmente, si diffuse la concezione dell’(—) come provvisorio soggetto autonomo di diritti. Giustiniano affermò che l’(—) (considerata, ormai a pieno titolo, come soggetto giuridico, sia pur limitato) era titolare dei diritti e doveri in essa rientranti.
Sin dall’impero di Marco Aurelio, fu introdotto, inoltre, a carico del soggetto impadronitosi di beni che facevano parte dell’(—), il crìmen expilatæ hereditàtis [vedi].
L’(—) è il patrimonio successorio in attesa di essere accettato da un erede. Va distinto dall’eredità vacante, quella, cioè, rifiutata, o comunque non accettata da nessun erede (ed attribuita, pertanto, al fiscus Caesaris [vedi]).
In attesa di un’eventuale accettazione, l’(—) era suscettibile di incrementi (ad es. per la nascita dei figli degli schiavi, o per fruttificazione) e di diminuzioni (ad es., per la morte di schiavi o per la distruzione di beni).
Fino a tutto il periodo classico, l’(—) era considerata res nullìus [vedi], in quanto i rapporti facenti capo al defunto non appartenevano né al defunto stesso (la cui capacità si era estinta con la morte), né al futuro erede (che non aveva ancora accettato): chi se ne impadroniva non veniva considerato responsabile di furto. Ben presto emerse, tuttavia, la necessità di considerare, per limitati fini, l’(—) come soggetto giuridico:
— talvolta la giurisprudenza classica fingeva che la vita del de cùius [vedi] (considerato titolare dell’(—)) si protraesse fino all’accettazione;
— talaltra, faceva retroagire la futura accettazione, considerando titolare dell’(—) il futuro erede.
Gradualmente, si diffuse la concezione dell’(—) come provvisorio soggetto autonomo di diritti. Giustiniano affermò che l’(—) (considerata, ormai a pieno titolo, come soggetto giuridico, sia pur limitato) era titolare dei diritti e doveri in essa rientranti.
Sin dall’impero di Marco Aurelio, fu introdotto, inoltre, a carico del soggetto impadronitosi di beni che facevano parte dell’(—), il crìmen expilatæ hereditàtis [vedi].