Giurisprudenza

Giurisprudenza

In età arcaica, fino al III sec. a.C., la (—), intesa come conoscenza del diritto e delle relative procedure, era monopolio esclusivo dei pontifices [vedi]. Con Gneo Flavio [vedi Ius Flavianum] e Tiberio Coruncanio [vedi] la (—) divenne laica e il giurista, mediante la triplice attività del respondére (fornire pareri sulle questioni loro sottoposte), cavére (assistere i privati sulle attività negoziali, ad es. nella redazione dei testamenti), àgere (dar pareri sulla condotta processuale) era il protagonista dell’ordinamento, anche perché a Roma la legge non aveva, specie in materia di diritto privato, l’importanza che per lo più le attribuiscono i sistemi giuridici moderni e, d’altra parte, non si richiedeva una particolare conoscenza del diritto né al magistrato né al iudex privatus [vedi], che, rispettivamente, si servivano della collaborazione del privato per la redazione dell’edictum [vedi] e per la decisione delle questioni dedotte in giudizio. Appartenente al ceto dirigenziale, il giurista repubblicano [vedi Sesto Elio Peto Cato, Mucio Scevola (Quinto), Servio Sulpicio Rufo, Alfeno Varo, Ofilio (Aulo), Trebazio Testa] per lo più ricopriva anche le cariche più ambite del cursus honorum [vedi] e, oltre che nelle cennate attività di consulenza, era impegnato anche in quelle d’insegnante e di scrittore: responsa [vedi responsa prudentium], quæstiones, digesta furono i generi letterari in cui principalmente si espresse la (—) che, successivamente all’età augustea (contrassegnata dai contrasti di scuola tra sabiniani [vedi Capitone (Caio Ateio), Sabino (Masurio), Scuola Sabiniana] e proculiani [vedi Proculo, Scuola proculiana, Labeone (Marco Antistio)]), ebbe, tra gli Antonini e i Severi (II - III sec. d.C.), il periodo della massima fioritura con Salvio Giuliano [vedi], Africano [vedi], Pomponio [vedi], Gaio [vedi], Marcello [vedi], Cervidio Scevola [vedi], Papiniano [vedi], Paolo [vedi], Ulpiano [vedi], Marciano [vedi] e Modestino [vedi], che nelle loro opere casistiche elaborarono, attingendo anche al metodo dialettico di matrice filosofica greca, quelle costruzioni originali che tanta influenza avrebbero poi esercitato sulla civiltà giuridica dell’Occidente europeo medievale e moderno. Intanto, a partire da Ottaviano Augusto [vedi], che secondo Pomponio avrebbe istituito il ius publice respondendi [vedi], la (—) fu sempre più sottoposta al controllo del princeps [vedi] ma solo con Tiberio i responsa divennero vincolanti per i giudici. Scomparso, con età postclassica, il ius publice respondendi [vedi], non si rinunciò alla utilizzazione, in sede processuale, dei testi giurisprudenziali e solo con la legge delle citazioni [vedi] del 426 d.C. si cercò di dettare delle regole per dirimere le discordanze tra i pareri allegabili dinanzi ai giudici. In età postclassica la (—) in Occidente esercitò fino al IV sec. a.C. un’attività di aggiornamento delle opere classiche, ma ben presto subì un declino che si rivelò inarrestabile e definitivo. Il declino crescente della giurisprudenza non fu rallentato dalla relativa ripresa che vi fu in età postclassica con le scuole giuridiche orientali, alle quali va riconosciuto il merito di aver contribuito all’opera di codificazione promossa da Giustiniano, che, nella costituzione Tanta-Dedoken, con cui promulgò i Digesta, vietò di compiere qualunque commentatio ai iura ivi raccolti.
I centri principali furono le scuole di Berito e di Costantinopoli.
I giuristi postclassici d’Oriente furono costretti ad adeguare il diritto classico alle riforme imperiali e ai principi del Cristianesimo. Pertanto la (—) orientale fu quella che più di ogni altra operò la corruzione del diritto romano di epoca classica.