Emptio-vendìtio

Emptio-vendìtio [Compravendita; cfr. artt. 1470 ss. c.c.]

Nozione
Contratto consensuale ed obbligatorio in forza del quale una delle parti (vènditor) si obbligava a trasmettere all’altra (èmptor) il possesso di una res [vedi] (màncipi o nec màncipi, corporale o incorporale), denominata merx, garantendone il pacifico godimento, dietro corrispettivo di una somma di danaro: il pretium.
La conclusione del contratto per effetto del consenso [vedi obligatiònes consensu contractæ] produceva in capo alle parti esclusivamente effetti obbligatori.
In epoche assai risalenti, l’(—) fu preceduta, con ogni probabilità, da forme di baratto, data l’assenza di moneta nell’economia romana. Successivamente la causa dello scambio di merce verso un corrispettivo in danaro venne soddisfatta attraverso la mancipàtio [vedi] per le res mancipi, mentre per le res nèc mancipi tra cittadini romani e per le res mancipi nel commercio con gli stranieri, si ricorse con ogni probabilità ad una doppia tradìtio [vedi] della cosa e del prezzo.
La piena ammissione del contratto consensuale dell’(—) fu un risultato realizzato per mezzo della iurisdictio del prætor peregrìnus [vedi] nel quadro dei rapporti giuridici del ius gentium [vedi].
Obbligazioni del venditore
A seguito della stipulazione del contratto, per il venditore nasceva l’obbligo di garantire all’acquirente il libero possesso della merx sino a quando questi non ne avesse acquistato il dominium [vedi] per usucapio [vedi] o altrimenti, e non quello di trasferirne le proprietà (vacua possessio).
Era, invece, ammesso che il venditore assumesse in via pattizia l’obbligo di effettuare il trasferimento della proprietà attraverso un apposito atto estraneo al contratto (mancipàtio [vedi] o in iùre cèssio [vedi]).
Il venditore, inoltre, era tenuto a prestare la garanzia per l’evizione e per i vizi occulti della cosa: la prima costituiva una conseguenza della mancipatio, in quanto il mancìpio accipiens che avesse provveduto al pagamento del prezzo, aveva la facoltà, se convenuto in giudizio da un terzo rivendicante, di chiamare in causa il mancipio dans, il quale era tenuto ad intervenire nel processo a sostegno del suo avente causa.
In seguito, poiché in linea di massima il contratto di (—) non imponeva l’intervento della mancipatio, la garanzia per l’evizione fu assicurata da apposite stipulazioni di garanzia, che legittimavano l’acquirente evitto ad esercitare l’àctio ex stipulatu [vedi].
Le principali stipulazioni dirette a tal fine erano:
— la stipulàtio habère licère, con la quale si garantiva il pacifico possesso della res, attribuendo al giudice il potere di stabilire, in caso di avvenuta evizione, l’ammontare del danno;
— la stipulatio dùplæ, particolarmente diffusa in epoca classica, con la quale il venditore si obbligava a corrispondere il doppio (dùplum) del valore del bene in questione nel caso di evizione.
In età classica, inoltre, si accordò al compratore evitto l’actio èmpti [vedi] anche in assenza di specifiche stipulazioni di garanzia.
La garanzia per vizi occulti assunse, nelle varie fasi del diritto romano, diverse connotazioni:
— in origine, la responsabilità del venditore poteva sorgere solo in seguito a nuncupatiónes [vedi nuncupàtio] pronunciate all’atto della mancipatio;
— successivamente, prese piede la prassi di garantire la presenza delle qualità promesse e l’assenza dei vizi della cosa con un’apposita stipulatio [vedi];
— infine, la responsabilità del venditore fu ritenuta esistente allorquando lo stesso avesse dolosamente dichiarato la presenza di date qualità o l’assenza di certi vizi oppure avesse dolosamente taciuto l’esistenza dei vizi medesimi [vedi actiònes ædilìciæ].
Obbligazioni del compratore
L’obbligazione principale dell’èmptor era quella di sòlvere prètium, ossia trasferire al venditore la proprietà della somma di denaro dedotta in contratto.
Inoltre, dall’(—) nasceva per il compratore l’obbligo di corrispondere gli interessi dal momento stabilito ovvero dal momento in cui riceveva la cosa, nonché quello di cooperare con il venditore.
Tipi particolari di vendita
Particolari figure di (—) erano:
— l’emptio rèi speràtæ, ossia la vendita di cosa futura, subordinata alla condizione della venuta ad esistenza della medesima;
— l’emptio spèi, ossia la vendita aleatoria di cosa futura;
Stipulazioni accessorie
Parallelamente allo sviluppo economico-commerciale della Repubblica romana, si determinò l’aumento esponenziale di stipulatiònes dirette ad adattare il contenuto tipico dell’(—) alle concrete esigenze dei traffici.
Tra tali stipulationes meritano una menzione particolare:
— il pàctum de retrovendèndo [vedi];
— il pactum de retroëmèndo [vedi];
— il pactum displicèntiæ [vedi];
— la lex commissòria [vedi];
— l’in dìem addìctio [vedi].
Azioni esperibili
Dalla stipulazione dell’(—) derivavano per le parti due azioni reciproche di buona fede [vedi àctio bònæ fidèi]:
— l’actio vènditi [vedi], a favore del venditore;
— l’actio èmpti, a favore del compratore.
Nullità
Nella (—) assumeva rilievo la piena concordanza delle volontà delle parti, per cui mancando tale concordanza si escludeva il perfezionarsi del contratto. Nello scioglimento del contratto, ruolo predominante era svolto dal contrarius consensus [vedi], sulla base del principio, accolto fin da tempi risalenti, della corrisponza tra conclusione e scioglimento del contratto. Nel pensiero classico le conseguenze del dissenso vennero equiparate all’aliud pro alio venire, fino a considerare sufficiente per determinare la nullità della vendita la mancanza di qualità essenziali della cosa: error in còrpore [vedi èrror]. Da ciò derivava la nullità del contratto per mancanza di accordo fra le parti circa l’identità della cosa da comprare o vendere.
Nulla era la vendita quando l’oggetto mancava o non era mai esistito o era venuto meno prima del contratto. In ordine all’acquisto di cosa propria si potrebbe ritenere che essa fosse valida se lo scopo delle parti era quello di far passare al compratore il possesso del quale egli era sfornito. Infine nel periodo classico era nulla la vendita di res extra commercium.