Donàtio
Donàtio [Donazione; cfr. artt. 769 ss. c.c.]
In età preclassica e classica era sconosciuto ai Romani un negozio di (—), che si effettuava quindi adattando altri schemi contrattuali tipici alla causa donationis.
Caratteri peculiari della (—) erano:
— l’incremento del patrimonio del donatario a detrimento di quello del donante;
— l’assenza di alcun obbligo giuridico o di alcuno scopo di lucro come fondamento dell’atto di disposizione.
Quanto al primo requisito, mentre nell’età classica esso era individuato avendo riguardo al contenuto dell’atto secondo il suo valore sociale, nell’età postclassica si attribuì rilevanza al c.d. ànimus donàndi [vedi], ossia alla volontà del donante di spogliarsi di proprie attività patrimoniali a vantaggio altrui.
Nel 204 a.C., la lex Cincia de donis et munèribus proibì le donazioni eccedenti la misura di mille assi, in analogia a quanto era stato stabilito dalla lex Furia testamentaria [vedi] per i legati; tale restrizione, tuttavia, cadde in età giustinianea.
In età augustea fu introdotto il divieto di donazione tra coniugi pena l’inesistenza dell’atto: il donante poteva, pertanto, rivendicare la cosa mancipata o tradita e ripetere la somma pagata; tuttavia la donazione tra coniugi diveniva inattaccabile dopo la morte del donante.
Costantino [vedi] stabilì che la (—), in qualunque modo fosse fatta, fosse assoggettata alla forma scritta ad substantiam [vedi] e alla insinuatio [vedi].
Giustiniano [vedi] codificò la (—) come pactum donationis, prevedendo, quindi, una autonoma figura contrattuale, e stabilendo la insinuatio solo per la (—) a carattere obbligatorio.
Si conoscevano diverse figure di donazione:
— (—) ante nùptias [vedi];
— (—) mortis causa [vedi];
— (—) pròpter nuptias [vedi];
— (—) sub modo [vedi];
— (—) testamento relicta [vedi].
In età preclassica e classica era sconosciuto ai Romani un negozio di (—), che si effettuava quindi adattando altri schemi contrattuali tipici alla causa donationis.
Caratteri peculiari della (—) erano:
— l’incremento del patrimonio del donatario a detrimento di quello del donante;
— l’assenza di alcun obbligo giuridico o di alcuno scopo di lucro come fondamento dell’atto di disposizione.
Quanto al primo requisito, mentre nell’età classica esso era individuato avendo riguardo al contenuto dell’atto secondo il suo valore sociale, nell’età postclassica si attribuì rilevanza al c.d. ànimus donàndi [vedi], ossia alla volontà del donante di spogliarsi di proprie attività patrimoniali a vantaggio altrui.
Nel 204 a.C., la lex Cincia de donis et munèribus proibì le donazioni eccedenti la misura di mille assi, in analogia a quanto era stato stabilito dalla lex Furia testamentaria [vedi] per i legati; tale restrizione, tuttavia, cadde in età giustinianea.
In età augustea fu introdotto il divieto di donazione tra coniugi pena l’inesistenza dell’atto: il donante poteva, pertanto, rivendicare la cosa mancipata o tradita e ripetere la somma pagata; tuttavia la donazione tra coniugi diveniva inattaccabile dopo la morte del donante.
Costantino [vedi] stabilì che la (—), in qualunque modo fosse fatta, fosse assoggettata alla forma scritta ad substantiam [vedi] e alla insinuatio [vedi].
Giustiniano [vedi] codificò la (—) come pactum donationis, prevedendo, quindi, una autonoma figura contrattuale, e stabilendo la insinuatio solo per la (—) a carattere obbligatorio.
Si conoscevano diverse figure di donazione:
— (—) ante nùptias [vedi];
— (—) mortis causa [vedi];
— (—) pròpter nuptias [vedi];
— (—) sub modo [vedi];
— (—) testamento relicta [vedi].