Dòlus

Dòlus [Dolo]

Vizio della volontà [cfr. artt. 1439-1440 c.c.].
Il (—) rilevante quale vizio della volontà nella conclusione di un negozio giuridico (in conficièndo negotio) si connotava quale dòlus malus e consisteva nel comportamento inescusabilmente malizioso, fatto di raggiri e artifizi, di un soggetto (c.d. decèptor) nei riguardi di un altro soggetto (c.d. decèptus) con cui fosse in trattative o in rapporti giuridici, allo scopo e con gli effetti di indurlo ad un’azione pregiudizievole dei propri interessi.
Diverso dal (—) malus era il (—) bonus, che consisteva in una tollerabile abilità (fatta eventualmente di piccoli, innocui espedienti) nel curare i propri interessi e non costituiva vizio della volontà.
L’elaborazione del dolo (nella forma di dolus malus) quale vizio della volontà negoziale è frutto della giurisprudenza preclassica e classica, che distinse tra:
dolo determinante (càusam dans), che comportava la nullità del negozio, in quanto determinava nel contraente una falsa rappresentazione della realtà, che, fuorviandolo, lo induceva alla conclusione di un contratto, altrimenti non voluto;
dolo incidente (ìncidens), che induceva la controparte alla stipulazione di un contratto a condizioni diverse da quelle volute.
Questo tipo di comportamento non determinava la nullità dell’atto; la parte caduta in errore, però, aveva diritto ad un indennizzo oppure ad ottenere la giusta prestazione.
La repressione del dolo fu, in origine, un’innovazione pretoria, che Cicerone, in particolare, attribuisce ad Aquilio Gallo [vedi]. Tra i rimedi apprestati in favore del cd. decèptus (cioè la vittima del dolo) ricordiamo:
— l’àctio de dolo [vedi];
— l’excèptio doli [vedi];
— l’in ìntegrum restitùtio ob dolum [vedi].
Era usuale garantire la controparte con una “clausula doli”, cioè con una promessa assunta nella forma della “stipulatio” [vedi].
Era considerato illecito il “pactum ne dolum præstetur” cioè di esclusione della responsabilità per “dolus malus”.
Criterio di imputazione della responsabilità [cfr. artt. 1218, 1225, 1228-1229, 2043 c.c.; 42, 43 c.p.].
Quale criterio di imputazione della responsabilità per inadempimento contrattuale, o da fatto illecito, il (—) rilevava solo nella configurazione di dolus malus (od anche dolus præsens), cioè quale accertata intenzionalità di non adempiere l’obbligazione o di commettere un fatto illecito.
In particolare, in ambito contrattuale, si ritenne che il (—) fosse normale criterio di imputazione della responsabilità per i casi in cui un’obbligazione fosse sorta nell’esclusivo interesse del creditore: in questo caso il debitore era responsabile solo dell’inadempimento derivante da (—), mentre in tutti gli altri casi, il criterio d’imputazione normale era la culpa levis [vedi].
Sempre in tema contrattuale, il diritto postclassico equiparò il (—) alla culpa lata [vedi].
Si è dunque visto che diverso dal dolo negoziale è il dolo quale elemento psicologico: la distinzione non fu avvertita con pienezza in diritto romano, nel quale i profili civilistici e quelli penalistici erano spesso oggetto di commistioni. Con mentalità giuridica contemporanea, potremmo distinguere:
— dolo vizio della volontà (fonte di annullabilità del negozio giuridico);
— dolo quale elemento psicologico rilevante in tema di responsabilità civilistica (contrattuale, extracontrattuale, precontrattuale);
— dolo quale criterio di imputazione del reato (rilevante, pertanto, ai fini della responsabilità penale).