Crimen repetundàrum (pecùniæ repetùndæ)
Crimen repetundàrum (pecùniæ repetùndæ) [Malversazione; cfr. art. 316-bis c.p.]
È uno dei crimina [vedi] previsti da leges publicæ e da queste dichiarato perseguibile mediante quæstiònes perpètuae [vedi]: consisteva nella malversazione che i magistrati delle province perpetravano in danno di comunità o singoli individui, sottraendo ad essi, illecitamente, denaro od altri beni (c.d. pecuniæ repetundæ), avvalendosi dei propri poteri. Il delitto si concretizzava negli atti con i quali il magistrato, strumentalizzando i propri poteri, estorceva, carpiva, sottraeva ai propri sudditi provinciali (o comunque li induceva in qualsiasi modo a consegnarglieli) denaro od altri beni che volgeva poi in proprio vantaggio.
Una lex Calpurnia de pecùniis repetùndis [vedi] del 149 a.C. istituì una quæstio perpetua che aveva il compito di istruire e decidere tutti i processi relativi al (—).
Considerata la particolare rilevanza sociale del (—), per esso fu stabilita, a titolo di norma, l’ampliàtio [vedi].
La lex Acilia repetundàrum [vedi] del 123 a.C. stabilì che il soggetto resosi colpevole di tale crimine dovesse esser condannato ad una pena pecuniaria di ammontare doppio rispetto al valore dei beni di cui si era impadronito.
La disciplina del delitto fu integrata dalla lex Servilia repetundàrum [vedi], dalla lex Cornelia de repetùndis [vedi], dalla lex Iulia repetundàrum [vedi], nonché da un sc. Calvisiànum [vedi] e da un sc. Claudianum [vedi].
In seguito, nel periodo del Principato, caratterizzato dalla cognìtio extra òrdinem [vedi], il (—) fu oggetto di numerosi e severi processi, in relazione al particolare rigore che ispirò la politica di Stato, a partire da Tiberio nei confronti dei governatori delle province. Nell’ambito del (—) vennero, pertanto, punite non soltanto le forme di corruzione, estorsione e captazione dei doni (che originavano la condanna del colpevole alla restituzione in simplum di quanto illecitamente percepito), ma anche di ogni forma di abuso ed atti violenti o crudeli (sævìtia), nonché ogni tipo di iniziativa volta a procurare utilità ai governatori od al loro seguito (es. indebita esazione di tributi, malversazione contabili, illegittime concessioni di congedo a militari).
È uno dei crimina [vedi] previsti da leges publicæ e da queste dichiarato perseguibile mediante quæstiònes perpètuae [vedi]: consisteva nella malversazione che i magistrati delle province perpetravano in danno di comunità o singoli individui, sottraendo ad essi, illecitamente, denaro od altri beni (c.d. pecuniæ repetundæ), avvalendosi dei propri poteri. Il delitto si concretizzava negli atti con i quali il magistrato, strumentalizzando i propri poteri, estorceva, carpiva, sottraeva ai propri sudditi provinciali (o comunque li induceva in qualsiasi modo a consegnarglieli) denaro od altri beni che volgeva poi in proprio vantaggio.
Una lex Calpurnia de pecùniis repetùndis [vedi] del 149 a.C. istituì una quæstio perpetua che aveva il compito di istruire e decidere tutti i processi relativi al (—).
Considerata la particolare rilevanza sociale del (—), per esso fu stabilita, a titolo di norma, l’ampliàtio [vedi].
La lex Acilia repetundàrum [vedi] del 123 a.C. stabilì che il soggetto resosi colpevole di tale crimine dovesse esser condannato ad una pena pecuniaria di ammontare doppio rispetto al valore dei beni di cui si era impadronito.
La disciplina del delitto fu integrata dalla lex Servilia repetundàrum [vedi], dalla lex Cornelia de repetùndis [vedi], dalla lex Iulia repetundàrum [vedi], nonché da un sc. Calvisiànum [vedi] e da un sc. Claudianum [vedi].
In seguito, nel periodo del Principato, caratterizzato dalla cognìtio extra òrdinem [vedi], il (—) fu oggetto di numerosi e severi processi, in relazione al particolare rigore che ispirò la politica di Stato, a partire da Tiberio nei confronti dei governatori delle province. Nell’ambito del (—) vennero, pertanto, punite non soltanto le forme di corruzione, estorsione e captazione dei doni (che originavano la condanna del colpevole alla restituzione in simplum di quanto illecitamente percepito), ma anche di ogni forma di abuso ed atti violenti o crudeli (sævìtia), nonché ogni tipo di iniziativa volta a procurare utilità ai governatori od al loro seguito (es. indebita esazione di tributi, malversazione contabili, illegittime concessioni di congedo a militari).