Crìmen maiestàtis (vel minùtæ maiestatis)

Crìmen maiestàtis (vel minùtæ maiestatis) [Lesa maestà]

Delitto [vedi crimen] consistente nell’abuso dei poteri conferiti a magistrati del popolo romano e nella conseguente lesione della dignità di quest’ultimo. La fattispecie delittuosa in esame fu puntualizzata da una lex Varia de maiestàte [vedi], da una lex Appuleia de maiestàte [vedi], da una lex Cornelia Sullæ maiestatis [vedi] e da una lex Iulia maiestatis [vedi].
Nel (—) finì, col tempo, per confluire anche l’antica perduèllio [vedi].
La pena prevista per il (—) era quella di morte: il condannato poteva, peraltro, evitare la pena capitale, sottoponendosi volontariamente all’aqua et igni interdìctio [vedi interdictio aqua et igni].
Successivamente, durante l’epoca del Principato, nell’ambito del (—) rientrarono tutti i delitti commessi contro il prìnceps, organo supremo dello Stato: si pensi ad oltraggi alla memoria di principi defunti, alla diffusione di scritti che diffamavano un principe, oppure anche ad offese a statue od immagini imperiali. In tale quadro venne represso l’atteggiamento di coloro che professarono la religione cristiana. Costoro rifiutarono di riconoscere ed onorare l’imperatore quale divinità e tale comportamento fu considerato integrante il (—) e punibile con la pena di morte. Col tempo vi rientrarono anche l’aver mosso in armi o condotto guerra od arruolato soldati contro l’imperatore. Per queste ultime due ipotesi fu prevista la pena di morte: per le persone di rango inferiore la pena era eseguita attraverso esposizione alle bestie feroci (bestiis óbici), o la vivi cremàtio (il condannato veniva bruciato vivo).