Crimen homicìdii
Crimen homicìdii [Omicidio; cfr. artt. 575 ss. c.p.]
Crimine consistente in generale nell’uccisione di un uomo, e variamente disciplinato in diritto romano (fino al II sec. a.C. veniva ancora chiamato parricìdium).
Ai fini di una più agevole comprensione dell’evoluzione della nozione e del trattamento repressivo dell’omicidio nelle varie epoche del diritto romano, occorre di distinguere:
— nel periodo regio, una norma attribuita dalle fonti al re Numa Pompilio, distinse tra omicidio volontario ed involontario:
— per quest’ultimo, l’omicida al cospetto del popolo riunito in assemblea, offriva un ariete agli agnati [vedi adgnatio] della vittima;
— per l’omicidio volontario, si stabilì che “si qui hòminem liberum dolo scìens morti dùit, paricìdas èsto”. La disposizione, dal significato molto controverso, è dalla dottrina prevalente interpretata nel senso che all’omicidio di un pater familias [vedi] fosse equiparato l’omicidio di un qualunque membro libero della collettività.
Colui che commetteva un omicidio volontario (dolo scìens) era condannato alla pena di morte, inflitta con modalità strazianti (pœna cùllei [vedi]);
— nulla è dato conoscere in merito alla disciplina dettata, per l’omicidio, dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum]: Cicerone riferisce che le XII Tavole lasciarono immutata la disciplina dettata da Numa Pompilio;
— in periodo repubblicano, l’omicidio, ancora definito parricidium, assunse natura rigorosamente pubblica e venne perseguito in sede comiziale [vedi processo comiziale; provocàtio);
— nel periodo del Principato, l’omicidio fu ridisciplinato dalla lex Cornelia de sicàriis (da sica - pugnale) et veneficis (da veneficium - avvelenamento) istitutiva della quæstio [vedi quæstiònes perpètuae] addetta alla cognizione del (—); la legge rimase in vigore fino alla scomparsa delle quæstiones.
Erano puniti a titolo di omicidio anche gli atti preparatori o di favoreggiamento e l’organizzazione di bande criminali: la pena fissata era quella dell’interdìctio aqua et igni [vedi].
Nell’ambito del (—) un rilievo particolare ebbe il parricidium (configurato come omicidio del proprio padre o di un prossimo congiunto), punito con la terribile pœna cullei. La lex Pompeia de parricidio [vedi] sanzionò il parricidium con la stessa pena prevista per il (—), l’interdictio aqua et igni; successivamente Augusto ripristinò l’antica pœna cullei;
— in diritto postclassico, nell’ambito del (—) rientrarono numerose nuove fattispecie:
— l’uccisione intenzionale di uno schiavo;
— l’accettazione di denaro, da parte di un giudice, per la pronunzia di una condanna;
— la castrazione di uomini liberi o schiavi;
— la somministrazione di filtri d’amore (pòcula amatoria) od abortivi (pocula abortiònis).
Variarono anche le pene, comminate in sede di repressione criminale extra ordinem [vedi cognìtio extra òrdinem];
— per l’omicidio comune, vi era la pena di morte semplice per le persone di umile condizione e la pena di morte attraverso crocifissione od esposizione a belve feroci [vedi bestiis óbici] per persone di rango elevato;
— il giudice corrotto veniva deportato [vedi deportàtio in ìnsulam] e i suoi beni confiscati [vedi publicàtio bonòrum];
— la castrazione di uomini liberi o schiavi comportava la pena di morte per persone di umile condizione e la deportazione, con confisca dei beni, per quelle di rango elevato;
— per la somministrazione di filtri amorosi od abortivi, le persone di umile condizione erano condannate ai lavori forzati in miniera [vedi damnàtio ad metàlla], mentre quelle di rango elevato erano condannate alla relegàtio in insulam [vedi], con la pena accessoria della confisca parziale dei beni.
Crimine consistente in generale nell’uccisione di un uomo, e variamente disciplinato in diritto romano (fino al II sec. a.C. veniva ancora chiamato parricìdium).
Ai fini di una più agevole comprensione dell’evoluzione della nozione e del trattamento repressivo dell’omicidio nelle varie epoche del diritto romano, occorre di distinguere:
— nel periodo regio, una norma attribuita dalle fonti al re Numa Pompilio, distinse tra omicidio volontario ed involontario:
— per quest’ultimo, l’omicida al cospetto del popolo riunito in assemblea, offriva un ariete agli agnati [vedi adgnatio] della vittima;
— per l’omicidio volontario, si stabilì che “si qui hòminem liberum dolo scìens morti dùit, paricìdas èsto”. La disposizione, dal significato molto controverso, è dalla dottrina prevalente interpretata nel senso che all’omicidio di un pater familias [vedi] fosse equiparato l’omicidio di un qualunque membro libero della collettività.
Colui che commetteva un omicidio volontario (dolo scìens) era condannato alla pena di morte, inflitta con modalità strazianti (pœna cùllei [vedi]);
— nulla è dato conoscere in merito alla disciplina dettata, per l’omicidio, dalla legge delle XII Tavole [vedi lex XII Tabulàrum]: Cicerone riferisce che le XII Tavole lasciarono immutata la disciplina dettata da Numa Pompilio;
— in periodo repubblicano, l’omicidio, ancora definito parricidium, assunse natura rigorosamente pubblica e venne perseguito in sede comiziale [vedi processo comiziale; provocàtio);
— nel periodo del Principato, l’omicidio fu ridisciplinato dalla lex Cornelia de sicàriis (da sica - pugnale) et veneficis (da veneficium - avvelenamento) istitutiva della quæstio [vedi quæstiònes perpètuae] addetta alla cognizione del (—); la legge rimase in vigore fino alla scomparsa delle quæstiones.
Erano puniti a titolo di omicidio anche gli atti preparatori o di favoreggiamento e l’organizzazione di bande criminali: la pena fissata era quella dell’interdìctio aqua et igni [vedi].
Nell’ambito del (—) un rilievo particolare ebbe il parricidium (configurato come omicidio del proprio padre o di un prossimo congiunto), punito con la terribile pœna cullei. La lex Pompeia de parricidio [vedi] sanzionò il parricidium con la stessa pena prevista per il (—), l’interdictio aqua et igni; successivamente Augusto ripristinò l’antica pœna cullei;
— in diritto postclassico, nell’ambito del (—) rientrarono numerose nuove fattispecie:
— l’uccisione intenzionale di uno schiavo;
— l’accettazione di denaro, da parte di un giudice, per la pronunzia di una condanna;
— la castrazione di uomini liberi o schiavi;
— la somministrazione di filtri d’amore (pòcula amatoria) od abortivi (pocula abortiònis).
Variarono anche le pene, comminate in sede di repressione criminale extra ordinem [vedi cognìtio extra òrdinem];
— per l’omicidio comune, vi era la pena di morte semplice per le persone di umile condizione e la pena di morte attraverso crocifissione od esposizione a belve feroci [vedi bestiis óbici] per persone di rango elevato;
— il giudice corrotto veniva deportato [vedi deportàtio in ìnsulam] e i suoi beni confiscati [vedi publicàtio bonòrum];
— la castrazione di uomini liberi o schiavi comportava la pena di morte per persone di umile condizione e la deportazione, con confisca dei beni, per quelle di rango elevato;
— per la somministrazione di filtri amorosi od abortivi, le persone di umile condizione erano condannate ai lavori forzati in miniera [vedi damnàtio ad metàlla], mentre quelle di rango elevato erano condannate alla relegàtio in insulam [vedi], con la pena accessoria della confisca parziale dei beni.