Crimen àmbitus
Crimen àmbitus
Delitto [vedi crimen] consistente nella commissione di quasiasi atto idoneo a realizzare brogli elettorali e, cioè, ad influenzare illecitamente gli elettori, per procurare voti ad un candidato, cagionando uno “sleale ed indebito accaparramento di preferenze”.
Erano considerati come illecito non solo la compera di voti, il (famigerato) voto di scambio (cioè la promessa di ricompense future in cambio di voti), o la corruzione vera e propria, ma anche l’organizzazione di feste e banchetti allo scopo di procurare voti ad un candidato. Non può sfuggire come, al di là delle parole, il diritto penale romano mirasse a tutelare quanto più intensamente possibile la genuinità del voto popolare; al giorno d’oggi, accade, invece, sempre più di frequente che l’incitamento alla moralizzazione pubblica provenga ... proprio da feste e banchetti vari, ormai divenuti strumento principe e legale per il procacciamento di voti.
La pena comminata per il (—) mutò, di sovente, nelle varie epoche del diritto romano; in proposito si rinvia alle seguenti leggi:
— lex Cornelia Fulvia;
— lex Cornelia Sullae;
— lex Calpurnia;
— lex Tullia;
— lex Pompeia;
— lex Iulia.
La pena fu gradualmente inasprita dalle varie leggi che si susseguirono; ciò evidenzia con chiarezza che il (—) fu considerato con crescente allarme dalla società romana.
Diversamente, la legislazione imperiale, invertendo tale tendenza, quale segno di una minore rilevanza attribuita al delictum in esame, portò ad un’attenuazione delle relative pene.
Verso la fine dell’impero di Alessandro Severo la lex Iulia de ambitu già non era più applicata in Roma, come si apprende da un brano di Modestino [vedi] dal momento che “la creazione dei magistrati apparteneva oramai alla cura del prìnceps e non al favore del popolo”.
Delitto [vedi crimen] consistente nella commissione di quasiasi atto idoneo a realizzare brogli elettorali e, cioè, ad influenzare illecitamente gli elettori, per procurare voti ad un candidato, cagionando uno “sleale ed indebito accaparramento di preferenze”.
Erano considerati come illecito non solo la compera di voti, il (famigerato) voto di scambio (cioè la promessa di ricompense future in cambio di voti), o la corruzione vera e propria, ma anche l’organizzazione di feste e banchetti allo scopo di procurare voti ad un candidato. Non può sfuggire come, al di là delle parole, il diritto penale romano mirasse a tutelare quanto più intensamente possibile la genuinità del voto popolare; al giorno d’oggi, accade, invece, sempre più di frequente che l’incitamento alla moralizzazione pubblica provenga ... proprio da feste e banchetti vari, ormai divenuti strumento principe e legale per il procacciamento di voti.
La pena comminata per il (—) mutò, di sovente, nelle varie epoche del diritto romano; in proposito si rinvia alle seguenti leggi:
— lex Cornelia Fulvia;
— lex Cornelia Sullae;
— lex Calpurnia;
— lex Tullia;
— lex Pompeia;
— lex Iulia.
La pena fu gradualmente inasprita dalle varie leggi che si susseguirono; ciò evidenzia con chiarezza che il (—) fu considerato con crescente allarme dalla società romana.
Diversamente, la legislazione imperiale, invertendo tale tendenza, quale segno di una minore rilevanza attribuita al delictum in esame, portò ad un’attenuazione delle relative pene.
Verso la fine dell’impero di Alessandro Severo la lex Iulia de ambitu già non era più applicata in Roma, come si apprende da un brano di Modestino [vedi] dal momento che “la creazione dei magistrati apparteneva oramai alla cura del prìnceps e non al favore del popolo”.