Concìlia plèbis

Concìlia plèbis [Assemblea della plebe]

Assemblea della plebe, e quindi non di tutti i cittadini, come nei comitia [vedi], convocata anche separatamente dai tribuni plebis [vedi] al fine di sottoporre al vaglio popolare determinate deliberazioni politiche o normative.
Solo in occasione dell’elezione dei nuovi tribuni (che si effettuava d’estate, anteriormente a quella dei consoli), l’assemblea era convocata non da singoli tribuni, bensì con editto collegiale emanato da tutti quelli in carica.
La funzione di detta assemblea fu storicamente quella di consentire ai tribuni, attraverso l’esercizio del ius agèndi cum plebe, l’instaurazione di un rapporto diretto con la propria gente per individuarne e recepirne le esigenze nonché gli spunti propositivi.
La natura delle decisioni adottate dall’assemblea plebea (plebiscìta [vedi plebiscitum]) era originariamente ritenuta diversa da quella attribuita alle deliberazioni comiziali [vedi comitia centuriàta, comitia curiàta, comitia tribùta]: queste ultime erano, infatti, reputate generalmente vincolanti; le prime erano, invece, considerate sprovviste di valore vincolante (scita) per l’intera collettività.
Con la lex Publilia Philonis de plebiscitis [vedi], fatta approvare nel 339 a.C. ai comitia centuriata [vedi] dal dittatore Publilio, si stabilì la parificazione costituzionale delle leggi e dei plebisciti (ut plebei scitum omnes Quirites teneret) con la conseguenza che i magistrati ebbero l’obbligo di sottoporre all’approvazione dei comitia centuriata tutte le deliberazioni dei (—). Soltanto nel 287 a.C., a seguito di una secessione della plebe sul Gianicolo venne sancito, con la lex Hortènsia de plebiscitis [vedi], che i plebisciti acquistassero valore e forza di legge.