Compensàtio
Compensàtio [Compensazione; cfr. artt. 1241 ss. c.c.]
Uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento [vedi solùtio], operante non ìpso iùre (cioè automaticamente), ma su eccezione di parte.
Essa aveva luogo qualora tra le medesime persone intercorressero rapporti reciproci di debito e di credito, i quali, ricorrendo i requisiti stabiliti dalla legge, si estinguevano nella misura in cui concorrevano: compensatio est debiti et crediti inter se contribùtio.
La definizione della compensazione, come istituto autonomo di estinzione delle obbligazioni, deriva da una celebre costituzione di Giustiniano.
Dalla giurisprudenza romana classica, la (—) era considerata, anziché quale modo di estinzione dell’obbligazione, come mera operazione contabile che si effettuava in certi casi nell’ambito della procedura formulare [vedi processo per formulas]. Nel sistema formulare la (—) era ammessa solo nei casi in cui la struttura della formula consentiva al giudice di tenere conto di un credito del convenuto e gli permettesse di condannarlo solo per la differenza (o di assolverlo in caso di pareggio). Pertanto la causa di estinzione dell’obbligazione non era la (—), ma la sentenza del giudice.
La (—) aveva luogo nelle seguenti ipotesi:
— nei iudìcia bonæ fìdei [vedi];
— nei rapporti tra banchiere (argentàrius) e cliente;
— nella bonòrum èmptio [vedi bonòrum èmptor], dove il compratore non poteva far valere i crediti del fallito in cui era succeduto senza compensarli con i debiti del fallito stesso verso il convenuto.
Notevoli innovazioni furono apportate al regime della (—) da Giustiniano: questi ammise in generale la operatività ipso iure [vedi] della compensazione, accertabile d’ufficio dal giudice in qualsiasi tipo di azione. Doveva, però, trattarsi di crediti aventi ad oggetto somme di danaro, che fossero liquidi ed esigibili, prescindendosi dalla differenza delle rispettive cause.
Caduto in disuso il sistema formulare e distintosi il diritto processuale dal diritto sostanziale, la (—) divenne un istituto generale.
Per operare ipso iure (a differenza del sistema formulare per cui la (—) poteva solo operare òpe exceptiònis) era necessario:
— che l’oggetto delle obbligazioni risultasse omogeneo;
— che il credito opposto in compensazione fosse valido;
— che lo stesso fosse esigibile (cioè scaduto) e liquido (cioè facilmente accertabile);
— l’identità dei soggetti, tra cui intercorrevano le obbligazioni che dovevano essere, appunto, gli stessi.
Poiché, secondo il diritto giustinianeo, l’estinzione avveniva per legge sin dal momento in cui venivano ad esistenza i presupposti, si ammetteva che il debitore che avesse pagato senza avvalersi della compensazione potesse ripetere, come indebito, quanto pagato.
Uno dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento [vedi solùtio], operante non ìpso iùre (cioè automaticamente), ma su eccezione di parte.
Essa aveva luogo qualora tra le medesime persone intercorressero rapporti reciproci di debito e di credito, i quali, ricorrendo i requisiti stabiliti dalla legge, si estinguevano nella misura in cui concorrevano: compensatio est debiti et crediti inter se contribùtio.
La definizione della compensazione, come istituto autonomo di estinzione delle obbligazioni, deriva da una celebre costituzione di Giustiniano.
Dalla giurisprudenza romana classica, la (—) era considerata, anziché quale modo di estinzione dell’obbligazione, come mera operazione contabile che si effettuava in certi casi nell’ambito della procedura formulare [vedi processo per formulas]. Nel sistema formulare la (—) era ammessa solo nei casi in cui la struttura della formula consentiva al giudice di tenere conto di un credito del convenuto e gli permettesse di condannarlo solo per la differenza (o di assolverlo in caso di pareggio). Pertanto la causa di estinzione dell’obbligazione non era la (—), ma la sentenza del giudice.
La (—) aveva luogo nelle seguenti ipotesi:
— nei iudìcia bonæ fìdei [vedi];
— nei rapporti tra banchiere (argentàrius) e cliente;
— nella bonòrum èmptio [vedi bonòrum èmptor], dove il compratore non poteva far valere i crediti del fallito in cui era succeduto senza compensarli con i debiti del fallito stesso verso il convenuto.
Notevoli innovazioni furono apportate al regime della (—) da Giustiniano: questi ammise in generale la operatività ipso iure [vedi] della compensazione, accertabile d’ufficio dal giudice in qualsiasi tipo di azione. Doveva, però, trattarsi di crediti aventi ad oggetto somme di danaro, che fossero liquidi ed esigibili, prescindendosi dalla differenza delle rispettive cause.
Caduto in disuso il sistema formulare e distintosi il diritto processuale dal diritto sostanziale, la (—) divenne un istituto generale.
Per operare ipso iure (a differenza del sistema formulare per cui la (—) poteva solo operare òpe exceptiònis) era necessario:
— che l’oggetto delle obbligazioni risultasse omogeneo;
— che il credito opposto in compensazione fosse valido;
— che lo stesso fosse esigibile (cioè scaduto) e liquido (cioè facilmente accertabile);
— l’identità dei soggetti, tra cui intercorrevano le obbligazioni che dovevano essere, appunto, gli stessi.
Poiché, secondo il diritto giustinianeo, l’estinzione avveniva per legge sin dal momento in cui venivano ad esistenza i presupposti, si ammetteva che il debitore che avesse pagato senza avvalersi della compensazione potesse ripetere, come indebito, quanto pagato.