Capacità

Capacità [cfr. artt. 1, 2, 12, 17 c.c.]

Fu ignota al diritto romano una compiuta elaborazione del concetto di capacità nelle sue varie estrinsecazioni (giuridica, di agire); con connotazioni particolari, venivano, in diritto romano, adoperati i termini di persona [vedi], càput [vedi] e stàtus [vedi].
Nel diritto vigente, si distinguono essenzialmente:
— la capacità giuridica, che è l’attitudine del soggetto ad esser titolare di diritti e doveri e viene acquistata da tutte le persone fisiche nate vive, nonché dalle persone giuridiche per effetto del riconoscimento (art. 12 c.c.). Essa viene meno con la morte delle persone fisiche o con l’estinzione delle persone giuridiche;
— la capacità d’agire, che è l’attitudine a compiere manifestazioni di volontà che siano idonee a modificare la propria situazione giuridica e spetta, nella sua pienezza, alle persone fisiche che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età, nonché, sia pur con qualche limitazione (art. 17 c.c.), alle persone giuridiche riconosciute. Può essere limitata oppure esclusa in presenza di particolari condizioni di salute, psico-fisiche (interdizione, inabilitazione), o di condanne penali (interdizione legale).
In diritto romano, l’acquisto della piena capacità giuridica si aveva con la nascita; allo scopo, occorreva esser nati vivi.
Più in generale, l’esistenza dell’essere umano veniva collegata all’evento della nascita in condizioni di vitalità e comunque all’effettiva vita; in particolare:
— si considerava nato il feto distaccato dall’alveo materno;
— la vitalità era collegata ad un parto c.d. perfectus, che seguiva una gestazione regolare di almeno sette mesi;
— la vita effettiva, superando la restrittiva tesi proculiana [vedi scuola proculiana], era desunta da qualsiasi manifestazione (con esame caso per caso).
In particolari casi, fu riconosciuta una limitata capacità giuridica anche al nascituro [vedi concèptus].
L’estinzione della capacità giuridica si aveva in generale con la morte, oppure con la càpitis deminùtio [vedi], nelle sue varie connotazioni.
Ai fini dell’acquisto della piena capacità giuridica oltre ad esser nato vivo, un soggetto doveva esser libero [vedi stàtus libertàtis], cittadino romano [vedi civitas; status] e sùi iuris [vedi status famìliæ].
La piena capacità giuridica conferiva i seguenti diritti:
ius commèrcii [vedi];
ius conùbii [vedi conubium];
testamènti fàctio attiva [vedi];
testamenti factio passiva [vedi];
ius suffràgii [vedi];
ius honòrum [vedi].
La capacità giuridica poteva, peraltro, non coincidere con la capacità di agire; in particolare, erano privi della capacità d’agire:
— i soggetti impuberi [vedi pubèrtas];
— i soggetti colpiti da infamia [vedi];
— gli addìcti [vedi addictus] ed i nèxi [vedi addìctus];
— gli auctoràti [vedi] ed i redèmpti ab hòstibus [vedi].
Oltre alle suddette limitazioni generali, il diritto romano previde limitazioni della capacità d’agire collegate ad infermità fisiche o mentali [vedi furiòsus, pròdigus].
Le attività negoziali dei soggetti (giuridicamente capaci, ma) sforniti della capacità d’agire, venivano compiute da un tùtor [vedi] oppure con l’ausilio di un curàtor [vedi].
Alcune infermità fisiche, se permanenti, davano luogo ad incapacità, qualora la natura dell’atto avesse richiesto una particolare idoneità fisica.
A seguito dell’emanazione dell’Editto di Costantino (313 d.C.) che sancì il trionfo del Cristianesimo, furono introdotte vere e proprie limitazioni della capacità giuridica come conseguenza dell’appartenenza a determinate religioni (pagani, ebrei, apostati, eretici e manichei) e ciò in contrasto col principio dell’assoluta libertà religiosa fino ad allora rispettata.
Sulla condizione femminile [vedi mùlier].