Bona vi rapta

Bona vi rapta [Rapina; cfr. art. 628 c.p.]

Per (—) s’intese un caso aggravato di furto, in quanto commesso mediante violenze sulle persone. La (—) era fonte di obbligazioni nascenti da atto illecito [vedi obligationes ex delicto]
Successivamente il prætor peregrinus [vedi] Lucullo, nel suo editto, accordò un’apposita azione contro colui che avesse, con la minaccia di un’arma, arrecato danno o sottratto cose altrui; la pena prevista ammontava al quadruplo della pena base, se l’azione veniva esperita entro l’anno, mentre era pari a quella base, se l’azione veniva esperita dopo tale termine.
La giurisprudenza classica estese l’ambito di tale fattispecie, ricomprendendovi anche quelle ipotesi in cui non si facesse ricorso alle armi, ma nelle quali si fosse comunque impiegata violenza.
Alla rapina, poi, veniva equiparata l’ipotesi di impossessamento di cosa altrui profittando di una calamità (incendio, naufragio, rovina, etc.).
Era dubbia in età classica la natura dell’actio vi bonorum raptorum, se dovesse cioè considerarsi actio pœnalis [vedi >actio pœnalis, reipersecutoria, mixta].
Giustiniano
[vedi] risolse la questione, smentendo entrambe le ipotesi e ritenendola actio mixta.