Àctio lègis Aquìliæ
Àctio lègis Aquìliæ
Azione penale [vedi >actio pœnalis] e reipersecutoria [vedi >actio poenalis] ad un tempo, esperibile dal danneggiato contro il danneggiante [vedi damnum iniuria datum].
Fu introdotta nell’ordinamento giuridico romano dalla lex Aquilia de damno, agli inizi dal III sec. a.C. Essa era strutturata in tre capitoli:
— per il primo capitolo, il soggetto che avesse ingiustamente ucciso uno schiavo oppure un quadrupede facente parte di un armento altrui, doveva esser condannato a pagare, al rispettivo proprietario, il massimo valore che lo schiavo o l’animale avevano raggiunto nel corso dello stesso anno in cui fu commesso il fatto.
Ai fini della responsabilità, erano richiesti indifferentemente il dolo o la colpa.
Il soggetto danneggiato, cioè il >dòminus [vedi] cui apparteneva il servus ucciso, aveva una doppia possibilità, in alternativa:
— poteva accusare l’omicida della commissione del crimine, intentando una actio pœnalis;
— poteva esigere il risarcimento del danno subito, agendo in sede civile in forza della lex Aquilia;
— il secondo capitolo della lex Aquilia de damno prevedeva un’azione esperibile nei confronti dell’adstipulàtor [vedi], che, in frode allo stìpulans principale, avesse accreditato, sul proprio libro-giornale della contabilità, una certa somma;
— il terzo capitolo della lex Aquilia de damno riguardava tutte le altre fattispecie di danni (ad es., quelli arrecati dal soggetto che feriva uno schiavo od un quadrupede appartenente ad un armento, oppure da chi uccideva o feriva un quadrupede non appartenente ad un armento), inclusi quelli cagionati ingiustamente a cose inanimate (se, ad es., si fosse bruciata, rotta o fracassata una cosa). In particolare, la legge stabiliva che il danneggiante dovesse essere condannato al pagamento non di una cifra pari al valore della res in quell’anno, bensì di una cifra determinata in relazione al valore della res nei 30 gg. precedenti il fatto produttivo del danno.
L’(—) era esperibile soltanto se si era in presenza di danni prodotti da qualcuno corpore corpori, e cioè con lo sforzo muscolare, alla cosa considerata nella sua fisicità; in tutti gli altri casi (tra gli altri, si pensi, ad esempio, al soggetto che rinchiudeva uno schiavo od un quadrupede altrui, facendoli morire di fame), per mancanza di danno corporale, venivano concesse dal pretore delle actiònes utiles (ad exemplum legis Aquiliæ) [vedi àctio ùtilis].
Azione penale [vedi >actio pœnalis] e reipersecutoria [vedi >actio poenalis] ad un tempo, esperibile dal danneggiato contro il danneggiante [vedi damnum iniuria datum].
Fu introdotta nell’ordinamento giuridico romano dalla lex Aquilia de damno, agli inizi dal III sec. a.C. Essa era strutturata in tre capitoli:
— per il primo capitolo, il soggetto che avesse ingiustamente ucciso uno schiavo oppure un quadrupede facente parte di un armento altrui, doveva esser condannato a pagare, al rispettivo proprietario, il massimo valore che lo schiavo o l’animale avevano raggiunto nel corso dello stesso anno in cui fu commesso il fatto.
Ai fini della responsabilità, erano richiesti indifferentemente il dolo o la colpa.
Il soggetto danneggiato, cioè il >dòminus [vedi] cui apparteneva il servus ucciso, aveva una doppia possibilità, in alternativa:
— poteva accusare l’omicida della commissione del crimine, intentando una actio pœnalis;
— poteva esigere il risarcimento del danno subito, agendo in sede civile in forza della lex Aquilia;
— il secondo capitolo della lex Aquilia de damno prevedeva un’azione esperibile nei confronti dell’adstipulàtor [vedi], che, in frode allo stìpulans principale, avesse accreditato, sul proprio libro-giornale della contabilità, una certa somma;
— il terzo capitolo della lex Aquilia de damno riguardava tutte le altre fattispecie di danni (ad es., quelli arrecati dal soggetto che feriva uno schiavo od un quadrupede appartenente ad un armento, oppure da chi uccideva o feriva un quadrupede non appartenente ad un armento), inclusi quelli cagionati ingiustamente a cose inanimate (se, ad es., si fosse bruciata, rotta o fracassata una cosa). In particolare, la legge stabiliva che il danneggiante dovesse essere condannato al pagamento non di una cifra pari al valore della res in quell’anno, bensì di una cifra determinata in relazione al valore della res nei 30 gg. precedenti il fatto produttivo del danno.
L’(—) era esperibile soltanto se si era in presenza di danni prodotti da qualcuno corpore corpori, e cioè con lo sforzo muscolare, alla cosa considerata nella sua fisicità; in tutti gli altri casi (tra gli altri, si pensi, ad esempio, al soggetto che rinchiudeva uno schiavo od un quadrupede altrui, facendoli morire di fame), per mancanza di danno corporale, venivano concesse dal pretore delle actiònes utiles (ad exemplum legis Aquiliæ) [vedi àctio ùtilis].