Università di Napoli

Università di Napoli

Il pubblico studio [vedi Studium] napoletano fu istituito da Federico II di Svevia [vedi] con la generalis lictera del 5 giugno 1224, al fine di creare un centro con funzioni politiche, istituzionali, oltre che culturali e giuridiche. Ad ideare quel progetto furono due eminenti giuristi campani: Pier delle Vigne e Taddeo da Sessa. Sostanzialmente immutata rimase l’organizzazione e la struttura dell’(—) nel periodo angioino (1265-1443). Carlo I d’Angiò [vedi] ribadì e accrebbe i precedenti privilegi concessi dai re svevi all’(—). Fu il segno di un rispetto profondo per gli studi e della loro importanza nell’evoluzione della vita anche economica della città, che si avviava a divenire capitale del regno. Con l’ingresso a Napoli di Alfonso di Aragona (26 febbraio 1443), si aprì per l’(—) una fase complessa e difficile, caratterizzata in modo particolare da una progressiva predilezione per gli studi di teologia, a scapito delle discipline giuridiche. Tale situazione, verrà tuttavia a normalizzarsi nuovamente a favore delle discipline giuridiche tra il XVI e il XVII secolo, quando il ceto giuridico si porrà con sempre maggiore forza al centro della vita civile, quale indispensabile strumento di mediazione dei molteplici interessi dell’aristocrazia. Un fondamentale impulso verso il rinnovamento dell’(—) si verificò nel corso del XVIII secolo, ed in modo particolare tra il 1707 ed il 1734, con il governo austriaco, quando sotto l’influenza della rivoluzione scientifica e dello straordinario sviluppo delle scienze naturali, molti uomini di cultura, e gli stessi giuristi, si aprirono ai suggerimenti della cultura e del pensiero critico europeo. Furono così introdotti insegnamenti più rispondenti alle esigenze dei tempi, quali la fisica sperimentale e l’economia. Un matematico e banchiere toscano, Bartolomeo Intieri, trapiantato a Napoli sin da giovane, fece istituire la cattedra di commercio, una delle prime in Europa, affidata per volere dello stesso Intieri ad Antonio Genovesi [vedi Genovesi Antonio], simbolo della cultura illuministica napoletana, dalla cui scuola uscirono alcune tra le menti più fervide della cultura italiana. Filangieri [vedi Filangieri Gaetano], Melchiorre Delfico (1744-1835), Pagano [vedi Pagano Francesco Mario], furono alcuni dei più illustri rappresentanti della società meridionale del Settecento. Alcuni di essi apportarono un notevole contributo agli avvenimenti della Repubblica partenopea [vedi]. Durante tutto il XIX secolo, Napoli rimase uno dei maggiori centri italiani di studi, di pubblicazioni e di aggiornamenti giuridici; questo rese possibile, anche dopo l’unificazione, la formazione di un corpo di intellettuali meridionali che larghissimo contributo diede alla cultura di governo. Le vicende successive all’unificazione avevano tuttavia portato anche profondi rivolgimenti che avrebbero penalizzato lo sviluppo ulteriore della cultura meridionale. Napoli, se da un lato aveva raccolto attorno a sé, nel corso dei secoli, la parte migliore delle energie intellettuali dell’intero mezzogiorno, aveva dall’altro dovuto sperimentare l’accresciuta concorrenza della vicina capitale, verso cui si sarebbe indirizzata l’immigrazione intellettuale e burocratica del meridione. Nel secondo dopoguerra, con la fine del fascismo e con una più generale trasformazione della società italiana, vi furono profondi mutamenti anche nel modo di pensare dei giuristi. Prevalsero modi di pensare e metodologie più empirici, modi di vedere maggiormente attenti alle realtà concrete, che hanno reso l’(—) ancora oggi, dopo secoli di storia, un grande luogo di produzione del sapere.