Statuto albertino

Statuto albertino

Concesso da Carlo Alberto il 14 marzo 1848, costituì dapprima la Carta costituzionale del Regno di Sardegna ed in seguito del Regno d’Italia.
Denominato “Statuto” allo scopo di evidenziarne l’origine non rivoluzionaria ma ottriata, cioè di graziosa concessione del sovrano, il documento era ispirato ai princìpi dello Stato liberale [vedi] e del governo “costituzionale puro”, in linea con le ideologie costituzionali affermatesi nella Francia prima delle rivoluzioni del 1848.
Lo (—) era costituito da un preambolo e da 84 articoli e fu pubblicato in lingua italiana e francese; esso si trasformò successivamente nello Statuto del Regno d’Italia e rimase in vigore per circa un secolo. Presentava i caratteri di una Costituzione:
ottriata: cioè era una Carta costituzionale concessa unilateralmente e spontaneamente dal sovrano, che fino ad allora aveva governato in veste di sovrano assoluto;
flessibile: cioè di grado pari alla legge ordinaria. Sebbene fosse definito nel suo preambolo “legge fondamentale, perpetua e irrevocabile”, era modificabile con un semplice procedimento legislativo ordinario, senza nessuna garanzia per i cittadini che eventuali modifiche statutarie fossero in seguito apportate ed approvate con un procedimento più ponderato.
Da un’analisi letterale dello (—) risulta che i poteri dello Stato, anche se affiancati da istituzioni rappresentative del popolo, erano monopolizzati dalla persona del Re.
La Corona era, inoltre, statutariamente irresponsabile: inizialmente neppure i ministri del re rispondevano dinanzi alle Camere del loro operato. Fu la prassi costituzionale a introdurre il rapporto di fiducia fra Camere e Governo.
In realtà, già pochi mesi dopo la sua entrata in vigore, lo (—) subì una serie di “modificazioni tacite” che contribuirono a ridimensionare i poteri del monarca. Ciò consentì il passaggio dalla forma di governo costituzionale puro a quella parlamentare.
Fondamentali in tal senso furono:
— il trasferimento di fatto della funzione esecutiva al Governo, che la esercitò non solo attraverso l’opera dei singoli ministri, ma anche in veste di Consiglio dei ministri, sotto la guida di un Presidente del Consiglio (figura questa prevista per la prima volta dal R.D. 27 marzo 1867);
— il riconoscimento della necessità che il Governo godesse, oltre che della fiducia del Re, anche di quella delle Camere.
A seguito di tali importanti evoluzioni:
— il Parlamento si rafforzò, in quanto con l’adozione del sistema della “fiducia” fu messo in grado di controllare l’operato del potere esecutivo;
— il Governo ampliò la sua sfera d’azione rendendosi indipendente dalla Corona e strappando alla stessa numerose prerogative sovrane (fra cui la nomina dei senatori).
Pur restando formalmente in vigore anche durante il ventennio fascista, lo (—) fu profondamente snaturato nelle sue linee essenziali.
Profondamente mutilato dal D.Lgs. 16-3-1946, n. 98, lo (—) rimase in vigore fino al 1° gennaio 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.