Rappresaglia
Rappresaglia
Nel diritto internazionale contemporaneo il termine (—) assume un significato che poco o niente ha in comune con quello specifico e tecnico assunto nel Medioevo e indica l’adozione da parte di uno Stato, nei cui confronti è stato violato un obbligo giuridico (ad opera di un altro Stato), di un comportamento illecito ma giustificato dalla lesione subìta.
La (—) come diritto del creditore di rivalersi sui beni di altri soggetti, anche non direttamente coinvolti nella controversia ed accomunati al vero debitore dal solo fatto di appartenere allo stesso Stato, ossia di avere la medesima cittadinanza, sorse nel Medioevo, dalla prassi, ed aveva come presupposto l’inesistenza di un’autorità suprema che potesse garantire il rispetto della giustizia.
Per tale motivo questo istituto fu sconosciuto al diritto romano: l’organizzazione e l’universalismo dell’impero impedivano ai cittadini di farsi giustizia arbitraria.
Per poter essere ammessa, la (—) richiedeva l’esperimento di uno speciale procedimento e la sua attuazione poteva avvenire soltanto se fosse intervenuto un manifesto diniego di giustizia da parte dello Stato straniero.
Normalmente, davano luogo alla (—) le incarcerazioni indebite, i debiti, le rapine, i pedaggi abusivi, la mancata esecuzione all’estero di una sentenza oppure un omicidio per il quale non ci fosse stato risarcimento.
Ad ogni modo, il danno doveva avere una certa entità e al danneggiato doveva essere stata espressamente negata soddisfazione all’estero.
Nel XIII secolo gli statuti comunali [vedi] disciplinarono compiutamente l’istituto della (—), concedendola esclusivamente al cittadino che pagava le imposte. Egli doveva presentare domanda al magistrato comunale o al consiglio supremo, che valutavano caso per caso e tentavano una prima composizione pacifica della controversia, attraverso azioni diplomatiche ed accordi politici. Qualora l’esito della trattativa fosse risultato negativo, l’organo pubblico concedeva al creditore la lettera di rappresaglia, con cui questi veniva autorizzato a rivalersi del danno sofferto.
La lettera di rappresaglia veniva pubblicata ed annotata in un apposito registro e, dopo circa un mese (concesso agli stranieri interessati, in modo da potere attuare tutte le precauzioni necessarie a salvaguardare i propri beni), la (—) era eseguita sui beni degli stranieri che ancora era possibile rinvenire.
Una volta sequestrati, i beni (o le persone che, tuttavia non potevano essere sottoposte a violenza o uccise) venivano affidati alla custodia comunale: attraverso l’aggiudicazione o la vendita, il creditore soddisfaceva il proprio interesse. Non potevano formare oggetto di (—) gli strumenti utilizzati per l’esercizio della professione, le derrate alimentari, i mezzi di trasporto, gli indumenti e la legna.
A partire dalla seconda metà del XIV secolo i comuni [vedi Comune medievale] tentarono di arginare il fenomeno della (—), che grande nocumento arrecava ai traffici commerciali, attraverso la stipulazione di trattati fra gli Stati, con cui si prevedevano misure conciliative per la risoluzione delle controversie.
Fu a partire dal Seicento che il concetto della (—) andò mutando e l’attenzione fu spostata sull’azione diretta dello Stato, volta a colpire l’interesse di uno Stato straniero (autore di un illecito internazionale).
Nell’Ottocento il termine indicò ormai soltanto la reazione di uno Stato ad una ingiusta lesione cagionata da un altro Stato.
Nel diritto internazionale contemporaneo il termine (—) assume un significato che poco o niente ha in comune con quello specifico e tecnico assunto nel Medioevo e indica l’adozione da parte di uno Stato, nei cui confronti è stato violato un obbligo giuridico (ad opera di un altro Stato), di un comportamento illecito ma giustificato dalla lesione subìta.
La (—) come diritto del creditore di rivalersi sui beni di altri soggetti, anche non direttamente coinvolti nella controversia ed accomunati al vero debitore dal solo fatto di appartenere allo stesso Stato, ossia di avere la medesima cittadinanza, sorse nel Medioevo, dalla prassi, ed aveva come presupposto l’inesistenza di un’autorità suprema che potesse garantire il rispetto della giustizia.
Per tale motivo questo istituto fu sconosciuto al diritto romano: l’organizzazione e l’universalismo dell’impero impedivano ai cittadini di farsi giustizia arbitraria.
Per poter essere ammessa, la (—) richiedeva l’esperimento di uno speciale procedimento e la sua attuazione poteva avvenire soltanto se fosse intervenuto un manifesto diniego di giustizia da parte dello Stato straniero.
Normalmente, davano luogo alla (—) le incarcerazioni indebite, i debiti, le rapine, i pedaggi abusivi, la mancata esecuzione all’estero di una sentenza oppure un omicidio per il quale non ci fosse stato risarcimento.
Ad ogni modo, il danno doveva avere una certa entità e al danneggiato doveva essere stata espressamente negata soddisfazione all’estero.
Nel XIII secolo gli statuti comunali [vedi] disciplinarono compiutamente l’istituto della (—), concedendola esclusivamente al cittadino che pagava le imposte. Egli doveva presentare domanda al magistrato comunale o al consiglio supremo, che valutavano caso per caso e tentavano una prima composizione pacifica della controversia, attraverso azioni diplomatiche ed accordi politici. Qualora l’esito della trattativa fosse risultato negativo, l’organo pubblico concedeva al creditore la lettera di rappresaglia, con cui questi veniva autorizzato a rivalersi del danno sofferto.
La lettera di rappresaglia veniva pubblicata ed annotata in un apposito registro e, dopo circa un mese (concesso agli stranieri interessati, in modo da potere attuare tutte le precauzioni necessarie a salvaguardare i propri beni), la (—) era eseguita sui beni degli stranieri che ancora era possibile rinvenire.
Una volta sequestrati, i beni (o le persone che, tuttavia non potevano essere sottoposte a violenza o uccise) venivano affidati alla custodia comunale: attraverso l’aggiudicazione o la vendita, il creditore soddisfaceva il proprio interesse. Non potevano formare oggetto di (—) gli strumenti utilizzati per l’esercizio della professione, le derrate alimentari, i mezzi di trasporto, gli indumenti e la legna.
A partire dalla seconda metà del XIV secolo i comuni [vedi Comune medievale] tentarono di arginare il fenomeno della (—), che grande nocumento arrecava ai traffici commerciali, attraverso la stipulazione di trattati fra gli Stati, con cui si prevedevano misure conciliative per la risoluzione delle controversie.
Fu a partire dal Seicento che il concetto della (—) andò mutando e l’attenzione fu spostata sull’azione diretta dello Stato, volta a colpire l’interesse di uno Stato straniero (autore di un illecito internazionale).
Nell’Ottocento il termine indicò ormai soltanto la reazione di uno Stato ad una ingiusta lesione cagionata da un altro Stato.