Quaestiones perpetuae

Quaestiones perpetuae (Tribunali permanenti)

Nel diritto romano erano tribunali permanenti giudicanti in materia penale pubblica, a partire dal II secolo a.C.; il sistema processuale incentrato sulle (—) presentava tre caratteristiche fondamentali:
— l’accusa era sostenuta da un privato cittadino;
— il giudizio definitivo era formulato da una giuria di cittadini (variamente composta nel corso degli anni);
— il magistrato si limitava a presiedere la giuria, senza partecipare al voto.
Le (—) erano presiedute dal pretore (oppure, su sua delega, da un quaesìtor), e ciascuna aveva competenza relativa ad un solo delitto.
La prima quaestio fu istituita nel 149 a.C. da una lex Calpurnia, per il crimine di malversazione; ad essa successivamente seguì l’istituzione di quaestiones competenti per altri crimina via via disciplinati.
Il processo, che aveva natura accusatoria, si svolgeva nel modo seguente: dopo l’impulso fornito da un privato cittadino (generalmente un cittadino qualunque, non necessariamente il soggetto offeso dal reato), attraverso la postulàtio (richiesta, al magistrato, del diritto di accusare), aveva luogo la vera e propria accusa (nòminis delàtio), cui seguiva il provvedimento con cui il magistrato iscriveva l’accusato nella lista degli imputati. Dopo la formazione della giuria (i cui membri erano scelti dall’accusato nell’ambito della più ampia rosa che l’accusatore individuava nell’apposito albo predisposto dal magistrato), aveva luogo il vero e proprio dibattimento (con requisitoria dell’accusatore, escussione di eventuali testi di accusa, arringa difensiva con eventuali testi della difesa): al temine di tale fase, i giurati procedevano alla votazione e il magistrato, raccolti i voti, dichiarava solennemente il risultato dello scrutinio, pronunciando sulla colpevolezza o meno dell’accusato.
Le (—) operarono in Roma formalmente fino al II secolo d.C.