Quaestiones de iuris subtilitatibus
Quaestiones de iuris subtilitatibus
Operetta giuridica di paternità ignota, attribuita però dal Fitting ad Irnerio [vedi] e da altri a Piacentino [vedi] o comunque, ad un glossatore [vedi] del secolo XII. Essa è divisa in 28 paragrafi, in cui sono discussi problemi privatistici e processualistici. L’importanza del trattatello è dovuta al fatto che in essa è contenuto un duro attacco al sistema delle leggi personali che in quel secolo si trascinava.
Il postulato dal quale parte l’autore era rappresentato dalla considerazione dell’assurdità del sistema delle leggi personali, non più sopportabile non soltanto di fronte alla prassi o, ad un sentimento religioso, ma nei confronti di quell’ordinamento giuridico universale — l’impero — che ormai aveva riunito le genti e superato i loro particolarismi.
Secondo l’autore delle (—) si poneva giocoforza un’alternativa solenne: o si affermava l’unità dell’impero (e in tal caso doveva affermarsi anche l’unità del diritto) o si accettava la molteplicità delle leggi (e, quindi, anche dei regni).
Poiché l’unità dell’impero si poneva come dato inconfutabile, appariva naturale all’autore delle (—) concludere affermando la necessità che unico fosse il diritto.
La realtà politica medievale, tuttavia, era caratterizzata dalla presenza di numerosi ordinamenti giuridici, sia all’interno sia all’esterno dei territori imperiali, ciascuno dei quali aspirava ad una qualche forma di autonomia se non alla vera e propria indipendenza, anche normativa. Al fine di superare la contraddizione tra una realtà pluralistica ed una teoria volta alla reductio ad unitatem, i giuristi medievali diedero vita ad una poderosa creazione concettuale che conciliasse il diritto romano (diritto dell’impero) e i diritti particolari. Fulcro della costruzione logica divenne allora il concetto di ius commune [vedi Diritto comune], vale a dire l’idea del diritto romano imperiale come diritto generale e universale, al quale dovevano essere ricondotti in posizione di subordinazione tutti gli iura propria [vedi Ius proprium], ossia i diritti degli ordinamenti giuridici particolari che nell’impero si ricomponevano in unità.
Operetta giuridica di paternità ignota, attribuita però dal Fitting ad Irnerio [vedi] e da altri a Piacentino [vedi] o comunque, ad un glossatore [vedi] del secolo XII. Essa è divisa in 28 paragrafi, in cui sono discussi problemi privatistici e processualistici. L’importanza del trattatello è dovuta al fatto che in essa è contenuto un duro attacco al sistema delle leggi personali che in quel secolo si trascinava.
Il postulato dal quale parte l’autore era rappresentato dalla considerazione dell’assurdità del sistema delle leggi personali, non più sopportabile non soltanto di fronte alla prassi o, ad un sentimento religioso, ma nei confronti di quell’ordinamento giuridico universale — l’impero — che ormai aveva riunito le genti e superato i loro particolarismi.
Secondo l’autore delle (—) si poneva giocoforza un’alternativa solenne: o si affermava l’unità dell’impero (e in tal caso doveva affermarsi anche l’unità del diritto) o si accettava la molteplicità delle leggi (e, quindi, anche dei regni).
Poiché l’unità dell’impero si poneva come dato inconfutabile, appariva naturale all’autore delle (—) concludere affermando la necessità che unico fosse il diritto.
La realtà politica medievale, tuttavia, era caratterizzata dalla presenza di numerosi ordinamenti giuridici, sia all’interno sia all’esterno dei territori imperiali, ciascuno dei quali aspirava ad una qualche forma di autonomia se non alla vera e propria indipendenza, anche normativa. Al fine di superare la contraddizione tra una realtà pluralistica ed una teoria volta alla reductio ad unitatem, i giuristi medievali diedero vita ad una poderosa creazione concettuale che conciliasse il diritto romano (diritto dell’impero) e i diritti particolari. Fulcro della costruzione logica divenne allora il concetto di ius commune [vedi Diritto comune], vale a dire l’idea del diritto romano imperiale come diritto generale e universale, al quale dovevano essere ricondotti in posizione di subordinazione tutti gli iura propria [vedi Ius proprium], ossia i diritti degli ordinamenti giuridici particolari che nell’impero si ricomponevano in unità.