Procedimento romano-canonico
Procedimento romano-canonico
Disciplina processuale scaturente dall’incontro del diritto romano [vedi] e del diritto canonico [vedi], così come elaborati dalla scuola dei Glossatori [vedi]. Diffuso inizialmente presso i tribunali ecclesiastici, il (—) si estese poi anche a quelli civili.
I tratti salienti del (—) sono rinvenibili nella forma scritta, nel procedimento segreto, nella divisione del processo in fasi e in atti separati. Inoltre, in base al principio del giudizio secundum alligata et probata, l’attività del giudice era limitata dalle prove addotte. Con il (—) si affermò inoltre la distinzione tra processo civile e processo penale.
Nel XIII secolo il processo civile si svolgeva in tre fasi. La prima comprendeva la presentazione al giudice dell’atto (libello), con il quale il proponente esponeva l’oggetto della domanda (petitum). Esso veniva letto dal giudice alle parti, le quali potevano porre delle eccezioni.
La seconda fase si apriva con la litis contestatio, vale a dire un atto con il quale le parti confermavano la loro volontà di giungere al termine del giudizio. Si procedeva quindi all’interrogatorio del convenuto, in merito alle contestazioni della parte che aveva presentato la domanda. In tale fase era necessaria la presentazione delle prove.
La terza fase ineriva l’emanazione della sentenza, che era letta dinanzi alle parti. Essa veniva eseguita, se non fossero stati presentati ricorsi.
Tale procedura subì delle modificazioni nel secolo XIV. Il libello fu sostituito da un’esposizione orale, il giudice ebbe una maggiore discrezionalità, la presentazione delle prove fu semplificata.
Il processo penale aveva, durante il XIII secolo, un carattere inquisitorio. In tale forma trovò una particolare fortuna nell’ordinamento canonico. Esso presentava una procedura scritta e segreta, suddivisa in due fasi. Nella prima, avuta notizia del reato, venivano raccolti gli indizi. Nella seconda fase si ricercavano le prove, si ascoltavano i testimoni e soprattutto si interrogava l’accusato, allo scopo di ottenerne la confessione. A tal fine era possibile ricorrere anche alla tortura.
Il processo si concludeva con la sentenza (di condanna o di assoluzione), contro la quale non era generalmente prevista la possibilità di appello.
Disciplina processuale scaturente dall’incontro del diritto romano [vedi] e del diritto canonico [vedi], così come elaborati dalla scuola dei Glossatori [vedi]. Diffuso inizialmente presso i tribunali ecclesiastici, il (—) si estese poi anche a quelli civili.
I tratti salienti del (—) sono rinvenibili nella forma scritta, nel procedimento segreto, nella divisione del processo in fasi e in atti separati. Inoltre, in base al principio del giudizio secundum alligata et probata, l’attività del giudice era limitata dalle prove addotte. Con il (—) si affermò inoltre la distinzione tra processo civile e processo penale.
Nel XIII secolo il processo civile si svolgeva in tre fasi. La prima comprendeva la presentazione al giudice dell’atto (libello), con il quale il proponente esponeva l’oggetto della domanda (petitum). Esso veniva letto dal giudice alle parti, le quali potevano porre delle eccezioni.
La seconda fase si apriva con la litis contestatio, vale a dire un atto con il quale le parti confermavano la loro volontà di giungere al termine del giudizio. Si procedeva quindi all’interrogatorio del convenuto, in merito alle contestazioni della parte che aveva presentato la domanda. In tale fase era necessaria la presentazione delle prove.
La terza fase ineriva l’emanazione della sentenza, che era letta dinanzi alle parti. Essa veniva eseguita, se non fossero stati presentati ricorsi.
Tale procedura subì delle modificazioni nel secolo XIV. Il libello fu sostituito da un’esposizione orale, il giudice ebbe una maggiore discrezionalità, la presentazione delle prove fu semplificata.
Il processo penale aveva, durante il XIII secolo, un carattere inquisitorio. In tale forma trovò una particolare fortuna nell’ordinamento canonico. Esso presentava una procedura scritta e segreta, suddivisa in due fasi. Nella prima, avuta notizia del reato, venivano raccolti gli indizi. Nella seconda fase si ricercavano le prove, si ascoltavano i testimoni e soprattutto si interrogava l’accusato, allo scopo di ottenerne la confessione. A tal fine era possibile ricorrere anche alla tortura.
Il processo si concludeva con la sentenza (di condanna o di assoluzione), contro la quale non era generalmente prevista la possibilità di appello.