Positivismo giuridico (o giuspositivismo)

Positivismo giuridico (o giuspositivismo)

Si intende per (—) quella corrente di pensiero che identifica il diritto con il diritto positivo [vedi], quello cioè posto dalla volontà della legge ed applicato effettivamente nello Stato.
La teoria del (—) nasce dal ruolo preponderante assunto dal legislatore con l’affermarsi dei codici (XIX secolo).
Il (—) presuppone uno studio scientifico del diritto, finalizzato a conoscere quello vigente e non a teorizzare un diritto ideale e utopistico. Tale concezione si fonda sulla netta separazione tra diritto e morale, tesi che contrappone il (—) al giusnaturalismo [vedi].
Posto che il diritto costituisce emanazione di una volontà umana, il primo (—) ha privilegiato la concezione della legge come espressione della volontà del gruppo di cui la norma costituisce il comando.
Attraverso una successiva elaborazione filosofica, la concezione imperativistica del diritto ha portato, attraverso il concetto di distinzione tra creazione e applicazione della norma, alla teoria della separazione dei poteri, arrivando a concepire una nozione di ordinamento completo, unitario e coerente con se stesso, nonché autosufficiente nella sua regolamentazione.
Kelsen [vedi Kelsen Hans], attraverso una concezione normativistica del (—), ha concepito il diritto come espressione di una volontà normativa che si traduce nel significato che l’ordinamento giuridico attribuisce a determinate situazioni.
Nella concezione giuspositivistica kelseniana tutto il diritto deve essere riducibile ad una sanzione: esso è, infatti, la regolamentazione della coazione volta al raggiungimento di qualunque fine perseguibile con tale mezzo. Per questo motivo il normativista deve occuparsi, secondo Kelsen, di descrivere il diritto nella sua specifica essenza, indipendentemente dalla sua effettività sociale.