Liber Augustalis
Liber Augustalis
Compilazione legislativa emanata nel 1231 a Melfi per il Regno di Sicilia da Federico II di Svevia [vedi], conosciuta anche come Constitutiones Regni Siciliae o come Constitutiones melphitanae o Augustales. Si tratta di una raccolta di norme di diversa provenienza.
Ne furono autori Pier delle Vigne e Iacopo, arcivescovo di Capua. Il (—) rappresentava il diritto generale del Regnum Siciliae; gli altri diritti, comuni e particolari, sarebbero restati in vigore, solo se non lo avessero contraddetto.
Si divide in tre libri, suddivisi in titoli, ciascuno dei quali ha la sua rubrica. Il primo libro è dedicato all’ordinamento del regno, in particolare magistrature e finanze; il secondo si occupa del processo; il terzo comprende norme diverse di diritto privato, penale e feudale.
Per compattezza e struttura logica il (—) rappresenta un’opera legislativa unica per l’epoca. Nell’aspetto esteriore si riallaccia alla legislazione degli imperatori romani (da cui il nome). Come personificazione del diritto al pari di quelli, Federico II promulgò il (—) da solo dopo averla sottoposto all’esame di un’assemblea imperiale a Melfi.
Per quanto concerne le fonti, vi si ritrovano essenzialmente la legislazione normanna, il diritto romano ma anche alcune decretali pontificie e taluni statuti municipali delle città settentrionali.
La parte più importante concerne la riforma delle cariche pubbliche. Per la prima volta nel Medioevo uno Stato si fondava su una magistratura interamente laica. L’appalto delle cariche fu abolito e furono stabiliti compensi fissi per i funzionari. Una riforma completa subì la giustizia, che venne tolta ai feudatari, ed affidata ai giustizieri dello Stato. A capo della giustizia e dell’amministrazione vi era il magister justiciarus.
Nel diritto penale fu attuato il criterio dell’inchiesta d’ufficio sia per l’accusa, sia per la prova. Il processo civile si ispirava al diritto romano, senza riguardo alle nazionalità delle parti in causa.
Il feudalesimo non fu abolito, ma sottomesso a una tendenza centripeta fondata sulla fedeltà individuale al re. L’amministrazione finanziaria fu accentrata.
Ai tribunali ecclesiastici il (—) sottrasse la giurisdizione sui laici e persino sugli eretici. Anche gli ecclesiastici, in taluni casi, dovevano essere giudicati da tribunali regi. Agli ecclesiastici fu inibito l’esercizio di pubbliche funzioni e venne notevolmente limitato il diritto di possedere terreni: in caso di devoluzione ereditaria, le terre dovevano entro un anno essere alienate, a pena di confisca.
Il (—) vietò, inoltre, ai comuni [vedi comune medievale] l’esistenza autonoma, con propri magistrati e comminò, in caso di contravvenzione a tale divieto, il saccheggio della città e la pena di morte ai magistrati comunali.
Molte delle istituzioni create da Federico II gli sopravvissero. Il (—) rimase formalmente in vigore fino al 1809 per quanto riguarda il Regno di Napoli; in Sicilia fu abrogato nel 1819.
Compilazione legislativa emanata nel 1231 a Melfi per il Regno di Sicilia da Federico II di Svevia [vedi], conosciuta anche come Constitutiones Regni Siciliae o come Constitutiones melphitanae o Augustales. Si tratta di una raccolta di norme di diversa provenienza.
Ne furono autori Pier delle Vigne e Iacopo, arcivescovo di Capua. Il (—) rappresentava il diritto generale del Regnum Siciliae; gli altri diritti, comuni e particolari, sarebbero restati in vigore, solo se non lo avessero contraddetto.
Si divide in tre libri, suddivisi in titoli, ciascuno dei quali ha la sua rubrica. Il primo libro è dedicato all’ordinamento del regno, in particolare magistrature e finanze; il secondo si occupa del processo; il terzo comprende norme diverse di diritto privato, penale e feudale.
Per compattezza e struttura logica il (—) rappresenta un’opera legislativa unica per l’epoca. Nell’aspetto esteriore si riallaccia alla legislazione degli imperatori romani (da cui il nome). Come personificazione del diritto al pari di quelli, Federico II promulgò il (—) da solo dopo averla sottoposto all’esame di un’assemblea imperiale a Melfi.
Per quanto concerne le fonti, vi si ritrovano essenzialmente la legislazione normanna, il diritto romano ma anche alcune decretali pontificie e taluni statuti municipali delle città settentrionali.
La parte più importante concerne la riforma delle cariche pubbliche. Per la prima volta nel Medioevo uno Stato si fondava su una magistratura interamente laica. L’appalto delle cariche fu abolito e furono stabiliti compensi fissi per i funzionari. Una riforma completa subì la giustizia, che venne tolta ai feudatari, ed affidata ai giustizieri dello Stato. A capo della giustizia e dell’amministrazione vi era il magister justiciarus.
Nel diritto penale fu attuato il criterio dell’inchiesta d’ufficio sia per l’accusa, sia per la prova. Il processo civile si ispirava al diritto romano, senza riguardo alle nazionalità delle parti in causa.
Il feudalesimo non fu abolito, ma sottomesso a una tendenza centripeta fondata sulla fedeltà individuale al re. L’amministrazione finanziaria fu accentrata.
Ai tribunali ecclesiastici il (—) sottrasse la giurisdizione sui laici e persino sugli eretici. Anche gli ecclesiastici, in taluni casi, dovevano essere giudicati da tribunali regi. Agli ecclesiastici fu inibito l’esercizio di pubbliche funzioni e venne notevolmente limitato il diritto di possedere terreni: in caso di devoluzione ereditaria, le terre dovevano entro un anno essere alienate, a pena di confisca.
Il (—) vietò, inoltre, ai comuni [vedi comune medievale] l’esistenza autonoma, con propri magistrati e comminò, in caso di contravvenzione a tale divieto, il saccheggio della città e la pena di morte ai magistrati comunali.
Molte delle istituzioni create da Federico II gli sopravvissero. Il (—) rimase formalmente in vigore fino al 1809 per quanto riguarda il Regno di Napoli; in Sicilia fu abrogato nel 1819.