Legge

Legge

Termine generico adoperato per designare il complesso delle norme scritte, volte a regolare autoritativamente i rapporti dei consociati tra di loro e con l’autorità costituita.
Essa è deliberata dal sovrano o dal potere legislativo, attraverso il Parlamento. Rappresenta la fonte principale dell’ordinamento giuridico.
Nel diritto romano la legge (come fonte speciale del diritto) era definita lex publica, in quanto espressione diretta della volontà del popolo riunito nei comitia. Essa era il risultato dell’accordo fra il magistrato proponente ed il popolo che accettava (senza poterlo modificare) il disegno di legge (rogatio) del magistrato.
Inizialmente la lex publica era distinta dal plebiscitum (proposto non dal magistrato ma dal tribuno della plebe nei comizi tributi e vincolante solo per la plebe). Tuttavia, dopo la lex Ortensia del 286 a.C. i plebiscita divennero vincolanti per tutti e furono ricompresi fra le vere e proprie leggi.
Il disegno di legge (rogàtio) veniva preventivamente approvato in Senato e successivamente esposto in luogo pubblico per almeno tre settimane (trinùndinum), durante le quali il popolo poteva essere riunito dal magistrato per eventuali discussioni. L’atto della pubblicazione recava il nome di promulgàtio e con esso aveva inizio il procedimento legislativo. La promulgatio fissava anche la data di convocazione dei comizi e della votazione.
Alla mezzanotte del giorno fissato (non si potevano scegliere né i giorni giudiziari, né i giorni festivi) il magistrato, tratti gli auspici, convocava il popolo per le votazioni. Il voto poteva essere espresso o con consenso (uti rògas - come tu proponi), o con dissenso (antiqua pròbo - approvo la vecchia disciplina) o con un’astensione (non lìquet - non ci si pronuncia). Terminata la votazione, si procedeva al computo dei voti (diribìtio) e alla comunicazione al popolo dell’esito del voto (renuntiàtio).
La proclamazione del risultato produceva l’effetto dell’immediata entrata in vigore della (—).
La legge constava di tre parti: la praescrìptio che conteneva le indicazioni formali (nome del magistrato proponente, il giorno e il luogo della votazione, la prima unità comiziale e il primo cittadino votante); la rogàtio, cioè il dispositivo della legge; la sànctio che garantiva l’efficacia della legge sancendo le conseguenze delle violazioni della stessa.
La legge romana aveva efficacia personale, e non già territoriale, in quanto si applicava a tutti i cives ovunque si trovassero ma non si applicava ai non cittadini, anche se residenti in territorio romano.
Mentre a Roma la (—) ebbe grande influenza nel campo del diritto pubblico, il diritto privato venne disciplinato da altre fonti: gli editti del pretore, l’interpretazione giurisprudenziale e la consuetudine. Sotto Ottaviano Augusto (27 a.C. - 14 d.C.) la (—) fu sostituita dai senatusconsulta e dalle costituzioni imperiali.
Da Diocleziano [vedi] (284-305 d.C.) a Costantino [vedi] (306-337 d.C.) la legislazione imperiale costituì l’unica fonte di diritto, in assoluto superiore alla consuetudine. Nacque la contrapposizione tra leges e iura, questi ultimi indicanti tutto l’antico diritto, rappresentato per eccellenza dalle opere dei grandi giuristi classici. All’accentramento di tutti i poteri legislativi nelle mani dell’imperatore fece riscontro l’esigenza, fortemente avvertita nella prassi, di disporre di raccolte di costituzioni. Alle raccolte private, quali il Codice Gregoriano [vedi] e il Codice Ermogeniano [vedi], fece seguito dopo oltre un secolo in Oriente il Codice Teodosiano [vedi] del 438, reso efficace in Occidente nello stesso anno.
In seguito alle invasioni barbariche (secolo V) i Romani continuarono a vivere secondo il proprio diritto ma accanto ad esso sorsero numerosi altri diritti (di formazione essenzialmente consuetudinaria) importati dai popoli germanici. Principale caratteristica dei regni romano-barbarici [vedi] fu l’esistenza di un pluralismo di leggi e consuetudini nazionali a carattere personale, in cui la continuità dell’uso del diritto romano era fuori discussione: gli stessi sovrani barbari pubblicarono compilazioni di leges e iura per le popolazioni romane assoggettate, come la Lex romana Wisigothorum [vedi] e la Lex romana Burgundionum [vedi]. Contemporaneamente si venne delineando un diritto regio, espressione della volontà del sovrano. Una prima forma di legislazione regia fu rappresentata dai capitolari [vedi Capitolare] del regno franco, volti al fine di correggere ed integrare i diversi diritti nazionali dei popoli sottomessi.
Nell’età feudale il diritto ebbe quasi ovunque carattere essenzialmente consuetudinario e fu elaborato nella prassi delle curie o corti feudali. La legislazione imperiale, pur continuando a svolgersi, si ricollegò al diritto romano e le constitutiones emanate dagli imperatori furono sostanzialmente modificative e non innovative rispetto alle leggi imperiali raccolte nel Corpus iuris civilis [vedi] di Giustiniano I [vedi].
Con il secolo XII ebbe inizio per l’Italia e per l’Europa un periodo di profondo rinnovamento del diritto e delle fonti giuridiche. L’organizzazione politica della società medievale condusse alla creazione di nuove fonti normative, più importanti della legge imperiale. In questo periodo si produsse un triplice ordine di eventi, che influirono direttamente e profondamente sull’evoluzione del sistema delle fonti giuridiche. Innanzitutto, sulla base del diritto romano giustinianeo, riscoperto e rielaborato ad opera della scuola dei glossatori di Bologna [vedi Glossatori] e degli altri centri universitari fioriti in Italia e Oltralpe, si venne formando il diritto comune [vedi] come legge generale vincolante dovunque non provvedessero altre fonti. In secondo luogo, sorsero i grandi comuni cittadini [vedi Comune medievale], veri e propri organismi politici dotati di piena autonomia ed in grado di creare nel proprio ambito il loro diritto. In terzo luogo, si formarono (dal secolo XII al XV) le grandi monarchie occidentali (Francia, Spagna, Inghilterra, Stati germanici, Italia meridionale) le quali lentamente si affermarono sul particolarismo feudale e comunale, emanando una nuova legislazione generale e speciale, faticosamente imposta dai monarchi (che rivendicavano la propria sovranità di fronte all’impero).
In Italia gli statuti [vedi Statuti comunali] occuparono il primo posto tra le fonti legislative. La loro validità inizialmente fu fatta derivare dalla concessione espressa o tacita dell’imperatore; in seguito dal diritto di ogni associazione di disciplinare la propria organizzazione interna ed infine dalla sovranità del comune.
Nell’età moderna, a partire dal XVI secolo, si consolidarono le grandi monarchie europee. In concomitanza con il graduale accentramento di ogni potere pubblico nelle mani di un governo centrale e di un apparato di funzionari direttamente dipendenti dal sovrano, si profilò la tendenza ad esercitare una più intensa attività legislativa, volta a disciplinare in modo uniforme la materia del diritto pubblico e ad attuare una revisione e una riduzione della molteciplità delle fonti (consuetudinarie, giurisprudenziali, dottrinali, legislative) esistenti. In tal modo, la legislazione regia assunse il ruolo di fonte principale di produzione del diritto, in parallelo con il declino della consuetudine. Leggi territoriali si ebbero in tutti gli Stati monarchici, giungendo gradatamente alle consolidazioni [vedi Consolidazione] del diritto esistente e poi alla codificazione [vedi].