Giudizio di Dio
Giudizio di Dio
Detto anche ordalia, era presso i Germani [vedi] un istituto processuale attraverso il quale si rimetteva alla decisione di un ente soprannaturale l’esito di una controversia giuridica. Ad esso si faceva ricorso in tutti i casi di contestazione di un giuramento [vedi] o di incertezza del tribunale. Consisteva in una sfida, alla quale era sottoposto il convenuto, a compiere qualcosa di pericoloso, come passare attraverso le fiamme o mettere la mano nell’acqua bollente, in modo tale che colui che avesse passato illeso la prova, dimostrava per ciò solo la propria innocenza.
Erano previsti tre tipi di (—): quello in cui il convenuto si trovava da solo ad affrontare la prova (ad es. gli si infiggeva una scottatura: se questa si infettava, egli era colpevole; in caso contrario era innocente); quello in cui attore e convenuto erano in concorrenza (ad es. entrambi si ponevano in piedi, uno di fronte all’altro e con le braccia sollevate: il primo che non resisteva alla stanchezza ed abbassava le membra era dichiarato colpevole) ed il duello [vedi]. Quest’ultimo espediente fu creato nel VI secolo e veniva applicato soprattutto nei casi di dichiarazione di falso di uno scritto o di un giuramento. Il vincitore del duello era considerato il designato da Dio e, quindi, era innocente.
Tutte queste prove si fondavano, dunque, sulla persuasione che Dio interveniva concretamente nelle vicende degli uomini e che, attraverso pratiche magiche, questi ultimi erano in grado di convogliare la volontà divina secondo i loro desideri.
La prova veniva fissata dal giudice caso per caso e, una volta reso il (—), egli si limitava a dichiarare la volontà divina, mentre l’esecuzione della sentenza restava affidata ai consueti mezzi della faida [vedi] o del guidrigildo [vedi]. Se il condannato non accettava la pena, doveva recarsi dinanzi al tribunale del re, per affermare che il tribunale del popolo [vedi mallum] aveva giudicato ingiustamente. Qualora, tuttavia, fosse stato in cattiva fede, sarebbe incorso in una grave pena.
Detto anche ordalia, era presso i Germani [vedi] un istituto processuale attraverso il quale si rimetteva alla decisione di un ente soprannaturale l’esito di una controversia giuridica. Ad esso si faceva ricorso in tutti i casi di contestazione di un giuramento [vedi] o di incertezza del tribunale. Consisteva in una sfida, alla quale era sottoposto il convenuto, a compiere qualcosa di pericoloso, come passare attraverso le fiamme o mettere la mano nell’acqua bollente, in modo tale che colui che avesse passato illeso la prova, dimostrava per ciò solo la propria innocenza.
Erano previsti tre tipi di (—): quello in cui il convenuto si trovava da solo ad affrontare la prova (ad es. gli si infiggeva una scottatura: se questa si infettava, egli era colpevole; in caso contrario era innocente); quello in cui attore e convenuto erano in concorrenza (ad es. entrambi si ponevano in piedi, uno di fronte all’altro e con le braccia sollevate: il primo che non resisteva alla stanchezza ed abbassava le membra era dichiarato colpevole) ed il duello [vedi]. Quest’ultimo espediente fu creato nel VI secolo e veniva applicato soprattutto nei casi di dichiarazione di falso di uno scritto o di un giuramento. Il vincitore del duello era considerato il designato da Dio e, quindi, era innocente.
Tutte queste prove si fondavano, dunque, sulla persuasione che Dio interveniva concretamente nelle vicende degli uomini e che, attraverso pratiche magiche, questi ultimi erano in grado di convogliare la volontà divina secondo i loro desideri.
La prova veniva fissata dal giudice caso per caso e, una volta reso il (—), egli si limitava a dichiarare la volontà divina, mentre l’esecuzione della sentenza restava affidata ai consueti mezzi della faida [vedi] o del guidrigildo [vedi]. Se il condannato non accettava la pena, doveva recarsi dinanzi al tribunale del re, per affermare che il tribunale del popolo [vedi mallum] aveva giudicato ingiustamente. Qualora, tuttavia, fosse stato in cattiva fede, sarebbe incorso in una grave pena.