Fedecommesso

Fedecommesso

Tale termine, usato in alternativa a quello di sostituzione fedecommissaria (adottato dal nostro codice civile e mutuato dal codice del 1865), designa la disposizione con cui, nel testamento, il testatore impone all’erede o al legatario (cd. istituito) l’obbligo di conservare i beni, affinché alla sua morte tali beni possano automaticamente passare ad altra persona (cd. sostituto) indicata dal testatore medesimo.
Anteriormente alla riforma introdotta dalla L. 1975, n. 151 il codice civile vigente riconosceva validità alla disposizione con cui il testatore imponeva al proprio figlio l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte, in tutto o in parte, i beni costituenti la disponibile, a favore di tutti i figli nati e nascituri dell’istituito o a favore di un ente pubblico. Al di fuori di questo limite il (—) era nullo, ma restava valida la chiamata dell’istituito, il quale acquistava incondizionatamente i beni attribuitigli.
La suddetta disciplina è stata radicalmente modificata dalla L. 1975, n. 151, che ha attribuito all’istituto del (—) una funzione prevalentemente assistenziale: i genitori, gli ascendenti in linea retta ed il coniuge dell’interdetto possono istituire erede quest’ultimo, gravandolo dell’obbligo di restituire alla sua morte tutti i beni, anche quelli costituenti la legittima, alla persona o agli enti che, sotto la vigilanza del tutore, hanno avuto cura di lui.
Il (—) è privo di effetto nell’ipotesi di revoca dell’interdizione o nei confronti delle persone e degli enti sostituti che abbiano violato gli obblighi di assistenza. In ogni altro caso il (—) è nullo.
La storia del (—) è lunga. Nel diritto romano il fideicommissum indicava quella disposizione di ultima volontà, di per sé inidonea a produrre effetti secondo il ius civile, con la quale il testatore, in forma non di comando ma di preghiera, si rivolgeva a colui che aveva istituito erede o legatario, affinché compisse, dopo la sua morte, una data attività a favore di un’altra persona. La pratica di effettuare attribuzioni mortis causa per fideicommissum oltreché per legato si affermò a Roma verso la fine del periodo classico e produceva, in capo all’onerato, un mero obbligo morale, non giuridico. Augusto stabilì che, nel caso di inadempimento particolarmente riprovevole, il beneficiario del (—) potesse agire extra ordinem, rivolgendosi ad uno speciale pretore, il praetor fidecommissarius. Claudio concesse la cognitio extra ordinem per ogni tipo di (—), facendo assurgere quest’ultimo, per la sua libertà di forme, nonché per la molteplicità dei fini per suo tramite conseguibili, a sistema diffuso nella pratica, che si affiancò al sistema dei legati. L’oggetto dell’istituto non era tipico, in quanto per mezzo di esso si poteva disporre la restituzione dell’intera eredità o di una sua quota, la liberazione di schiavi o acquisti a titolo particolare.
Particolarmente rilevante era il cd. (—) di famiglia, con il quale si disponeva che non fossero alienati il fondo o la casa paterna: in questo caso l’oggetto vincolato o la quota vincolata dovevano essere trasmessi intatti dall’uno all’altro membro della famiglia, in conformità alle indicazioni del testatore e, in mancanza, secondo il criterio della prossimità.
Le differenze fondamentali tra legati e fedecommessi erano le seguenti:
— i legati dovevano essere disposti, secondo forme tassativamente determinate, nel testamento o in appositi codicilli; i fedecommessi potevano essere disposti in qualsiasi forma;
— i fedecommessi potevano essere disposti, al contrario dei legati, anche a favore di persone prive della capacità testamentaria passiva (testamenti factio passiva);
— la tutela del legatario si realizzava secondo lo schema della cognitio ordinaria; quella del (—) in base alle regole della cognitio extra ordinem.
Il diritto germanico, poiché ignorò le successioni testamentarie, ignorò le disposizioni fedecommissarie. Il termine fideicommissarius, che spesso si rinviene nelle fonti germaniche, deve intendersi come la traduzione latina del barbarico salmanno [vedi], ossia l’esecutore testamentario, i cui compiti venivano per lo più precisati dallo stesso disponente.
Fu con i Glossatori [vedi] che la disciplina romana dell’istituto, così come era stata elaborata dalle fonti giustinianee, tornò ad essere conosciuta.
Alla scuola dei Commentatori [vedi] ed in particolare a Bartolo de Sassoferrato [vedi] e Baldo degli Ubaldi [vedi] si deve la distinzione tra (—) tacito e quello espresso. Secondo Bartolo il (—) tacito consiste in una tacita promessa di restituzione (privata promissio restitutionis), mentre il (—) espresso è quello espressamente contenuto in un testamento o in un codicillo. Secondo Bartolo, invece, il (—) tacito richiedeva pur sempre una forma scritta e si realizzava ogni qualvolta dalle parole del testatore non potesse evincersi con chiarezza il significato della sua volontà.
Agli inizi dell’età moderna (XVI secolo), si giunse alla definitiva inclusione del (—) tra gli istituti giuridici destinati alla conservazione del patrimonio familiare e, soprattutto, venne teorizzato il (—) di famiglia.
Fu nel Settecento che, a causa della diffusione delle idee della Rivoluzione francese [vedi] l’istituto entrò in crisi, poiché in esso si vide un ostacolo alla libera circolazione dei beni. L’abolizione del (—), decretata nel 1792 in Francia, venne riconfermata nel Code Napoléon [vedi]. Con la Restaurazione [vedi], l’istituto tornò nuovamente in vigore, per poi essere vietato, in Italia, dal codice civile del 1865 [vedi].