Editto di Rotari
Editto di Rotari
Emanato il 22 novembre 643 dal re dei Longobardi [vedi] Rotari [vedi] per le popolazioni del regno, con il dichiarato intento di fissare per iscritto le norme consuetudinarie del proprio popolo.
Oltre che dall’antichissimo diritto consuetudinario longobardo [vedi Cawarfidae], l’(—) fu influenzato in modo formale e sostanziale dal diritto teodosiano [vedi Codice Teodosiano], dalla compilazione giustinianea [vedi Corpus iuris civilis], da fonti biblico-ecclesiastiche ma, soprattutto, dalle altre legislazioni barbariche: dal diritto visigoto in primis [vedi Editto di Teodorico], dei Burgundi [vedi Lex romana Burgundionum; Lex Burgundionum], dei Bavari, degli Alemanni [vedi Lex Alamannorum] e dei Salii [vedi Legge salica].
Nel tentativo di Rotari è possibile leggere la volontà di rafforzare il potere monarchico, di consolidare politicamente le strutture del regno e di impedire una manipolazione arbitraria del diritto. Non è assolutamente casuale che i reati politici, con in testa l’attentato alla vita del re, venissero trattati con la massima attenzione. Erano numerose le norme che rivelavano una forte determinazione nell’assicurare l’ordine interno e il potere regio, attraverso lo strumento legislativo. Il progetto sotteso era quello di trasformare in monarchia ordinata una dominazione nata come sfruttamento militare.
Comunemente l’(—) viene considerato come il più ampio e il più organico tra le leggi barbariche. Consta di 388 capitoli e le materie in esso trattate appaiono disposte secondo un ordine prestabilito: un primo gruppo di capitoli tratta dei reati politici; seguono i reati contro le persone e quelli contro le cose; con una rubrica intitolata alla filiazione legittima ha inizio la trattazione del diritto di famiglia e successorio, compresi i reati contro il matrimonio. Seguono i diritti reali e le obbligazioni, i reati minori e i danneggiamenti, nonché un breve gruppo di capitoli dedicati alla materia processuale. I capitoli conclusivi (367-388), riguardanti diverse materie, probabilmente sono frutto di aggiunte posteriori, apposte a scopo di integrazione o di correzione di capitoli precedenti.
La maggior parte delle norme di diritto penale erano corredate da un tariffario attraverso cui venivano fissati dei compensi pecuniari, destinati a sostituire la faida [vedi], con relative varianti a seconda del valore che veniva assegnato alla persona offesa [vedi Guidrigildo].
Nel suo complesso l’(—) contribuì, in maniera decisiva, a rendere più consapevole la popolazione longobarda di costituire una comunità unitaria della quale era superiore garante l’autorità regia. Fu un potente strumento di conservazione dello spirito nazionalistico e della coesione di stirpe tra i Longobardi.
I destinatari dell’(—) erano principalmente, se non esclusivamente, i Longobardi: alla popolazione di origine romana era consentito il ricorso al proprio diritto.
Il testo venne redatto in latino, un latino quanto mai rozzo, oscuro e costellato di germanismi intraducibili.
Resta comunque singolare il fatto che, a un attento esame, le leggi raccolte in questo editto rivelino un’accentuata primitività dei Longobardi e, contemporaneamente, una singolare vocazione alla tecnica legislativa: il testo, in effetti, si rivela assai bilanciato e redatto con estrema attenzione.
Emanato il 22 novembre 643 dal re dei Longobardi [vedi] Rotari [vedi] per le popolazioni del regno, con il dichiarato intento di fissare per iscritto le norme consuetudinarie del proprio popolo.
Oltre che dall’antichissimo diritto consuetudinario longobardo [vedi Cawarfidae], l’(—) fu influenzato in modo formale e sostanziale dal diritto teodosiano [vedi Codice Teodosiano], dalla compilazione giustinianea [vedi Corpus iuris civilis], da fonti biblico-ecclesiastiche ma, soprattutto, dalle altre legislazioni barbariche: dal diritto visigoto in primis [vedi Editto di Teodorico], dei Burgundi [vedi Lex romana Burgundionum; Lex Burgundionum], dei Bavari, degli Alemanni [vedi Lex Alamannorum] e dei Salii [vedi Legge salica].
Nel tentativo di Rotari è possibile leggere la volontà di rafforzare il potere monarchico, di consolidare politicamente le strutture del regno e di impedire una manipolazione arbitraria del diritto. Non è assolutamente casuale che i reati politici, con in testa l’attentato alla vita del re, venissero trattati con la massima attenzione. Erano numerose le norme che rivelavano una forte determinazione nell’assicurare l’ordine interno e il potere regio, attraverso lo strumento legislativo. Il progetto sotteso era quello di trasformare in monarchia ordinata una dominazione nata come sfruttamento militare.
Comunemente l’(—) viene considerato come il più ampio e il più organico tra le leggi barbariche. Consta di 388 capitoli e le materie in esso trattate appaiono disposte secondo un ordine prestabilito: un primo gruppo di capitoli tratta dei reati politici; seguono i reati contro le persone e quelli contro le cose; con una rubrica intitolata alla filiazione legittima ha inizio la trattazione del diritto di famiglia e successorio, compresi i reati contro il matrimonio. Seguono i diritti reali e le obbligazioni, i reati minori e i danneggiamenti, nonché un breve gruppo di capitoli dedicati alla materia processuale. I capitoli conclusivi (367-388), riguardanti diverse materie, probabilmente sono frutto di aggiunte posteriori, apposte a scopo di integrazione o di correzione di capitoli precedenti.
La maggior parte delle norme di diritto penale erano corredate da un tariffario attraverso cui venivano fissati dei compensi pecuniari, destinati a sostituire la faida [vedi], con relative varianti a seconda del valore che veniva assegnato alla persona offesa [vedi Guidrigildo].
Nel suo complesso l’(—) contribuì, in maniera decisiva, a rendere più consapevole la popolazione longobarda di costituire una comunità unitaria della quale era superiore garante l’autorità regia. Fu un potente strumento di conservazione dello spirito nazionalistico e della coesione di stirpe tra i Longobardi.
I destinatari dell’(—) erano principalmente, se non esclusivamente, i Longobardi: alla popolazione di origine romana era consentito il ricorso al proprio diritto.
Il testo venne redatto in latino, un latino quanto mai rozzo, oscuro e costellato di germanismi intraducibili.
Resta comunque singolare il fatto che, a un attento esame, le leggi raccolte in questo editto rivelino un’accentuata primitività dei Longobardi e, contemporaneamente, una singolare vocazione alla tecnica legislativa: il testo, in effetti, si rivela assai bilanciato e redatto con estrema attenzione.