Dottrina degli statuti

Dottrina degli statuti

Dottrina formulata dai dottori delle università [vedi] italiane dei primi anni del Trecento per fornire una giustificazione teorica al generale potere normativo dei comuni [vedi Comune medievale].
In virtù di tale teoria l’imperatore è considerato sempre la suprema autorità temporale, a cui spetta la titolarità del potere di emanare norme giuridiche. Tuttavia l’imperatore, come delega ai singoli l’esercizio di alcuni poteri (soprattutto giurisdizionali), così consente ai comuni di dare leggi a se stessi. Il titolo che, secondo i giuristi di scuola, legittimava il potere locale e rendeva valide le norme statutarie era la permissio dell’imperatore, revocabile legalmente da quest’ultimo ogni volta che lo volesse.
Quando, verso la fine del secolo XIV ci fu l’avvento delle Signorie [vedi], maturarono i tempi per una diversa formulazione teorica del potere statutario dei comuni. Si abbandonò la teoria della permissio, per giungere a quella formulata da Baldo degli Ubaldi [vedi], secondo la quale un ente che raggiunge una sua concreta identità istituzionale (Regnum, Signoria territoriale e feudale, comune cittadino, corporazione, confraternita e consorteria) puo esercitare il potere normativo indipendentemente dal consenso (placet) di un’autorità superiore.